Qui Milano – Ciak, si gira! E la Comunità diventa un set cinematografico
C’era una volta un fotografo appassionato di motocicletta, Stefano, che negli anni ’70 capitava per caso in un cimitero di Sabbioneta. Rapito e un poco offeso dal fascino decadente del luogo, carica sulla sua due ruote una lapide e va via a tutto gas. Dopo inutili tentativi di dare al proprietario della lapide una storia, un passato e una degna sepoltura, a Stefano non resta che custodire il suo cimelio in garage. Gli anni passano e sua figlia, Ghila, gira la grossa pietra, notando l’iscrizione: “Felice Leon Foà”. Il fantasma di Felice non si fa attendere e appare, visibile solo agli occhi delle donne di famiglia. Inizia allora una commedia agrodolce nella quale il fantasma di Sabbioneta diventa parte integrante del ménage di questa famiglia ebraica milanese in piena crisi. Come far trovare un po’ di pace al povero Felice? Ovviamente restituendo la lapide al suo luogo, ma come ritrovarlo? Questa la trama del cortometraggio, opera prima di Ghila Valabrega. “Quando penso a Felice nel box ‐ spiega la regista ‐ mi viene in mente il concetto di realismo magico. Felice Foà e il suo fantasma sono il simbolo fluttuante di una serie di valori concreti e fondamentali”.
Il corto è una narrazione di ordinaria follia, un varco temporale che mette in dialogo le ceneri di una comunità ebraica fiorente e facoltosa, quella di Sabbioneta, con le dinamiche famigliari ebraico‐milanesi degli anni zero. Un primo passo verso la rielaborazione consapevole del passato glorioso dell’ebraismo italiano, “Credo sia doveroso raccontare la storia degli ebrei italiani che precede la Shoah” afferma Ghila. Come si è arrivati a questo punto? Da dove esce fuori il fantasma? “Ero a New York e ho visto un uomo. Ho pensato subito fosse un artista. Senza congetturare troppo sono andata direttamente da lui e gli ho chiesto chi fosse. Era l’aiuto regista di Emir Kusturica. Improvvisamente mi sono ritrovata a lavorare sul set. Dopo qualche esperienza ho sentito crescere la necessità di fare qualcosa di mio. Felice nel box, mi ronzava in testa da sempre. Ed eccoci qui”. La strada scelta da Ghila non è però tra le più semplici: un settore, quello del cinema, che annuncia a gran voce il continuo rischio di chiudere i battenti e un paese che più o meno fa lo stesso, l’Italia. “Ho bussato a tante porte con il mio film sempre nello zaino e mai riposto nel cassetto e ho finalizzato un piano di finanziamento che si sta rivelando efficace” racconta Ghila che, attraverso indiegogo, una delle piattaforme di crowdfunding di maggior successo, raccoglie fondi per il film. “Ogni volta che si arriva a un punto di svolta nella finalizzazione del corto metto online un promo invitando a investire sul mio progetto”. Investimento oltretutto etico, che servirà in parte a raccogliere i soldi necessari per il restauro della sinagoga di Sabbioneta. E se Felice nel box riuscirà in futuro a dare nuova vita alla storia di Sabbioneta, sicuramente ha regalato nell’immediato a Ghila una nuovo rapporto con la Comunità ebraica di Milano: “Grazie all’aiuto di Sonia Colombo, abbiamo raccolto un cast ricco e diversificato, strettamente legato alla comunità”. Da Miriam Camerini al protagonista Elia Schilton, alle interpretazioni di Yoram Ortona, già consigliere comunitario, e rav Shmuel Rodal. Un modo decisamente creativo per immergersi nella quotidianità ebraica milanese e portare un po’ di scompiglio. “Per ottenere la fiducia di tutti mi sono dovuta immergere completamente nelle dinamiche e nelle atmosfere del film. Del resto è la storia della mia famiglia”. La pellicola ha ricevuto inoltre il patrocinio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, della Fondazione Beni culturali ebraici, delle Comunità di Milano e Mantova, dell’Associazione Man Tovà. Il personaggio da non prendere sottogamba ovviamente è Felice Leon Foà, il fantasma: “Inizialmente pensavo di realizzarlo in 3D, animarlo, poi invece ho preferito un effetto diverso. Mi sono servita di trucchi tradizionali del cinema, mi piaceva l’idea di realizzare dei piani sequenza piuttosto naive. Ho voluto fortemente inoltre che la ricostruzione degli anni ’70 fosse fatta con cura certosina: dagli abiti alle macchine. Il segno distintivo della presenza dello spirito del Fantasma è la sabbia. I miei genitori in questo sono stati davvero dei supporter ideali, hanno permesso che la seminassi in quantità industriale per tutta la nostra casa, adibita a set!” Ma come continua il lungo viaggio di Felice? “Innanzitutto stiamo promuovendo il corto attraverso i social network, la nostra pagina ha già più di ottocento fan, una volta ultimato il film organizzeremo una prima, magari in un teatro, per presentarlo. Nella mia mente ci sono già tantissimi festival interessanti, dal Sundance a Berlino. In cima alla lista ci sono anche i festival di cinema ebraico: da New York a Singapore!” spiega entusiasta la regista.
E dopo, quali sono i nuovi sogni? “Ho in mente una trilogia sulla mia famiglia ‐ confida Ghila ‐ vorrei realizzare il mio primo lungometraggio incentrandolo sul matrimonio dei miei genitori. Del resto sono uno spunto continuo e costituiscono da sempre le storie che vorrei raccontare. Pensare che inizialmente avevo pensato di chiedere a mio papà di interpretare se stesso, ma la timidezza ha vinto. Ricordo ancora i week‐end nei quali i miei genitori salivano in moto e cercavano disperatamente la casa di Felice Leon Foà, il cimitero dove decine di anni prima mio padre aveva preso la sua lapide”.
Rachel Silvera, Italia Ebraica, marzo 2014
(11 marzo 2014)