La democrazia e le quote

tobia zeviVale sempre l’assunto di partenza: la democrazia è un disastro, ma è il sistema migliore che conosciamo. Il dibattito sulle quote rosa ruota, infatti, intorno a due equivoci fondamentali, il concetto di quote e quello di merito: la parità non si stabilisce per decreto, spiegano i detrattori delle liste fifty-fifty, ma garantendo le stesse opportunità e premiando il merito. Pare una verità lapalissiana, se non fosse che senza quote il merito, da noi, premia sempre i maschi. Sempre meno, certo, ma ancora in modo netto e sospetto.

Al tempo stesso la mobilitazione parlamentare femminile pro-quote ha sulla coscienza un peccato originale: perché si è cominciato a parlare della parità solo dopo aver affossato il tema delle preferenze? In teoria sarebbe bastato approvare questa norma per rendere superfluo qualunque dibattito sulle donne in politica. E qui siamo al secondo equivoco: il numero dei voti, le preferenze, sono uno strumento utile per giudicare il valore dell’uomo (donna) politico? Se guardiamo allo scempio delle classi dirigenti locali italiani, verrebbe proprio da rispondere di no. Prendere i voti costa, e quando si è pagato si cerca una ricompensa in un modo o nell’altro.

Ma a questo punto si apre una questione culturale: Silvio Berlusconi, termometro del paese negli ultimi due decenni, ha sempre sostenuto questo principio. Mi hanno votato dunque ho ragione, anche se quello che faccio va contro qualche legge. Un principio quantitativo contro quello costituzionale e legale. Ma questa percezione ha avuto terreno fertile nella società in cui siamo immersi, dove l’accumulo è il misuratore fondamentale del successo.

In conclusione, possiamo dire così. Le quote sono sempre sbagliate, ma si sono rivelate utilissime per aumentare la auspicabile presenza femminile; il merito è una bellissima cosa ma non è chiaro – senza partiti strutturati – come lo si definisca e chi lo stabilisca (i quattro che compongono la lista in una stanza?); la democrazia è un disastro, ma è il sistema migliore che conosciamo. Se poi mi si punta una pistola alla tempia e mi si obbliga a rispondere alla domanda secca “Quote sì, quote no”? A malincuore direi di sì.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas

Twitter: @tobiazevi

(11 marzo 2014)