studio…

La Parashà di questa settimana si apre con un versetto nel quale sembrano abbondare le ripetizioni ed i pleonasmi: “Tzaw eth Aharòn we-eth banàw le’mor: zo’th toràth ha-‘olà, hi’ ha-‘olà ‘al moqedà ‘al ha-mizbéach kol ha-làyla ‘ad ha-bòqer, we-èsh ha-mizbéach tùqad bo”, “Ordina ad Aharòn ed ai suoi figli col dire: Questa è la norma dell’olocausto, esso, l’olocausto sulla legna ardente sull’altare per tutta la notte fino al mattino, nel quale il fuoco dell’altare dovrà ardere”.
In queste parole ci sono accentuazioni assurde. È infatti evidente che l’olocausto – per definizione – è un sacrificio che deve bruciare sull’altare; ed è altrettanto evidente che, se deve bruciare sull’altare, il fuoco dell’altare dovrà ardere. E se la Torà stabilisce che esso debba rimanere sull’altare tutta la notte, è ovvio che vi stia fino al mattino. Quale senso hanno queste ripetizioni ovvie?
È noto che il Nachmanide ritiene che lo scopo del sacrificio di ‘olà (olocausto) è quello di fare leva sul peccatore che lo offre: osservando come l’animale viene macellato, il suo sangue viene spruzzato, le sue membra vengono lentamente ma inesorabilmente e totalmente consumate dal fuoco, il peccatore si rende conto che tale destino sarebbe, a priori, riservato a lui stesso, e solo per un misericordioso atto di grazia e di generosità divina ciò viene scaricato su una sua proprietà; tale fatto dovrebbe essere così sconvolgente da spingere il peccatore ad abbandonare completamente la strada sbagliata, e fare Teshuvà completa.
Ciò è quello che ci indica la Torà, quando avvisa: “Ordina ad Aharòn ed ai suoi figli che dicano al peccatore che porta il suo olocausto qual è il vero concetto dell’olocausto: il vero olocausto dovrebbe essere egli stesso; lui dovrebbe essere sulla legna ardente, lui dovrebbe bruciare sull’altare fino al mattino”.
Se l’uomo si rendesse conto di questo, potrebbe certamente migliorare il suo comportamento, ed allora il suo sacrificio avrebbe veramente valore.
Oggi non c’è più il Santuario, e conseguentemente non c’è più l’olocausto col suo valore educativo. Di tutto ciò resta solo la “Toràth ha-‘olà”, l’insegnamento dell’olocausto; ma i nostri Maestri affermano che “chi studia le regole dell’olocausto è come se avesse offerto un olocausto”. Che lo studio della Torà ci aiuti a migliorare sempre noi stessi.

Elia Richetti, rabbino

(13 marzo 2014)