…morà
Ricordo una stanza con dei tavoli bassi di fòrmica verde, alcune seggioline per noi bambini, dei bei mattoni colorati con cui facevamo costruzioni fantasiose. E ricordo il sorriso e l’accoglienza della maestra, la “morà Sara”, la moglie del rabbino Viterbo. La scelta di offrire un asilo ai bambini della comunità era coraggiosa e faticosa, ma la sua importanza veniva compresa tanto che noi arrivavamo a Padova da venti chilometri pur di partecipare. In una comunità piccola è necessario concentrare gli sforzi organizzativi soprattutto sull’infanzia. Sono questi che lasciano il segno, che creano legami sociali e amicizie che dureranno tutta la vita e che assicureranno la continuità. Poi naturalmente c’erano le canzoncine, le prime lettere ebraiche disegnate, le prime benedizioni imparate. Per me (ma siamo un “noi”, perché sono stati parecchi i ragazzi che hanno avuto la stessa esperienza) Sara Viterbo Colombo è sempre stata la mia “morà”, come mia prozia Alberta Levi era stata la sua maestra nella Ferrara negli anni ’30. Una sorta di continuità familiare che è un po’ il segno della storia dell’ebraismo italiano. La dolorosa recente scomparsa di Sara lascia un grande vuoto, e impone nel contempo una riflessione sull’importanza fondamentale di quel che Sara rappresentava. Era lei la “rebbetzin”, la moglie del rabbino, che in una piccola comunità rappresentava molto: punto di riferimento dell’universo femminile, animatrice delle attività educative, autorità riconosciuta in tema di cucina, confidente in tema di purità. E così la comunità si è mossa, e ha organizzato un pullman per poterle accordare l’ultimo saluto a Trieste, dove aveva scelto di vivere i suoi ultimi anni. E’ un bel segno di vitalità (un paradosso di fronte alla morte) di una comunità piccola ma coesa e attiva, che è così anche grazie al lavoro decennale di Sara e di suo marito rav Achille Viterbo. Nell’accompagnarla nel suo viaggio verso Eretz Israel risuonano come giuste e appropriate le parole dell’Eshet chàil nei Proverbi: “Apre la sua bocca con saggezza ed insegnamento di bontà vi è sulla sua lingua” (Pr. 31, 26). Che il suo ricordo sia di benedizione.
Gadi Luzzatto Voghera, storico
(14 marzo 2014)