Ticketless – Bionda bruttezza
La settimana scorsa ho mostrato il profilo mefistofelico di Fabio Luzzatto. Oggi, attraverso un disegno, vorrei rendere omaggio al duellante n. 2, che cercò d’infilzare Mussolini: Claudio Treves. I duellanti avevano in comune, sia detto senza offesa per nessuno, la “bella bruttezza” degli ebrei italiani. Capelli e barba neri Luzzatto. Biondo era Claudio Treves, come biondi raramente siamo noi ebrei piemontesi. E non belli. Nei nostri album di famiglia, lo ammetto, il ritratto di un uomo fascinoso è visione rara. A prescindere dai nasi, su cui si è scatenata, chissà perché, la propaganda antisemita, si sprecano le orecchie a sventola, i prognatismi marcati, gli spettacolari pomi d’Adamo, le cespugliose sopracciglia, le grandi bocche alla Fernandel. Gli occhi sono più buoni che belli. Sono gli occhi del bove. “Pio bove un corno!”, recita il verso di una poesia di Primo Levi. Tutto sta nella capacità di prendersi in giro. Il problema risulta evidente in letteratura prima che nella vita. Nei personaggi maschili, da Shylock in giù, la bruttezza è norma. Con le donne accade il contrario. Prima di arrivare alla bassaniana Micòl si contano a mille le Rebecche e le Sare, che in Nievo, in Fogazzaro, in Pea, in Savinio si impongono per la loro forza seduttiva. Bisognerà ritornare sulle Muse ebree che hanno ispirato gli autori italiani: da Dora Markus di Eugenio Montale a Katia Bleier di Luigi Meneghello.
Questa la ragione per cui voglio ricordare Claudio Treves ricorrendo all’agrodolce ritratto che ci ha lasciato nella sua autobiografia Giorgio Levi Della Vida. L’incontro avviene nella camera di un piccolo albergo in via Zanardelli, dove era solito risiedere nei suoi soggiorni nella capitale: “[Treves] era molto brutto, di quella bruttezza anodina degli ebrei biondi che riesce più sgradevole di quella degli ebrei bruni, dotata almeno di rilievo e di espressione. Un tipo non raro fra gli ebrei piemontesi. Eppure nonostante la presenza di questi elementi negativi, da tutta la sua persona emanava un fascino difficile a definirsi ma immediatamente sensibile, una specie (come dire?) di magnetismo che avvinceva l’interlocutore, e che spiegava il suo successo di oratore”.
Alberto Cavaglion
Qui in pagina un ritratto di Claudio Treves firmato da Emanuele e Giovanni Cavaglion
(19 marzo 2014)