Budapest e il torto alla Memoria
Settant’anni fa l’esercito nazista occupava l’Ungheria. Quell’invasione costò la vita a 600mila ebrei, uccisi dai tedeschi e dal collaborazionismo ungherese. Oggi davanti alla Sinagoga Maggiore di Budapest si sono raccolte diverse centinaia di persone per ricordare quegli avvenimenti e stringersi attorno alla propria Comunità ebraica. “Siamo qui nel nome delle vittime della Shoah, per far sentire la nostra voce contro coloro che sono al potere e di cui come minoranza non possiamo fidarci”, ha affermato András Heisler, presidente di Mazsihisz (la Federazione ebraica ungherese) in polemica con il governo per l’atteggiamento di banalizzazione della Memoria intrapreso dalle autorità di Budapest attraverso alcune decisioni. “Esprimiamo la nostra solidarietà agli ebrei ungheresi – ha dichiarato nell’arco dell’evento l’ambasciatore di Israele in Ungheria Ilan Mor – non accettiamo la relativizzazione né la negazione della Shoah e non accettiamo la cultura dell’amnesia o della dimenticanza”. Su Pagine Ebraiche di Aprile un approfondimento sulla polemica esplosa tra l’ebraismo ungherese e il governo di Budapest.
Che Memoria non significhi solo ricordare ma assumersi le responsabilità del passato sembrava essere chiaro al governo ungherese. Quanto meno dopo le affermazioni del vice primo ministro Tibor Navracsics che il 2 ottobre scorso dichiarava: “Sappiamo che siamo responsabili per la Shoah, non possiamo passare oltre questa responsabilità”. Una presa di coscienza apprezzata dall’uditorio della Conferenza internazionale sull’antisemitismo. Però, quando si parla di Memoria troppo spesso sorge un però, la decisione di Budapest di far sorgere su piazza Szabadsag (Libertà) un monumento “a tutte le vittime dell’occupazione” ha rimescolato le carte in tavola. “Un tentativo di relativizzare e sminuire le responsabilità del paese di fronte alla Shoah”, accusa Mazsihsz, la Federazione ebraica ungherese. Siamo tutti stati vittime, il messaggio che passerebbe con il nuovo monumento di piazza Szabadsag. E la storia racconta altro. Un torto che Mazsihsz non ha potuto accettare, e a ruota altre realtà ebraiche magiare, rinunciando al programma di appuntamenti in memoria della Shoah decisi con il governo. La Memoria non si negozia, il concetto che l’ebraismo d’Ungheria vuole far passare. “L’attuale progetto del governo di commemorare il 70esimo anniversario della Shoah in Ungheria è lontano dal riflettere in modo accurato i ruolo del paese durante la guerra e l’esperienza degli ebrei ungheresi”, si legge nel comunicato del Congresso mondiale ebraico in sostegno della decisione di Mazsihsz di ritirarsi dalle iniziative. Viktor Orban, primo ministro in carica, non è rimasto impressionato, posticipando ogni decisione a dopo le elezioni che si terranno il 6 aprile. L’esito delle urne non può che preoccupare l’ebraismo d’Ungheria con il partito antisemita e xenofobo Jobbik che non sembra aver perso consensi tra i concittadini. Anzi. Di fronte a tutto questo è comprensibile la presa di posizione di Mazsihsz: “Non permetteremo a nessuno di falsificare la storia e di dissacrare la memoria dei nostri martiri”. Rifiutati gli stanziamenti governativi, è stata avviata una raccolta fondi indipendente per portare avanti in modo autonomo le iniziative sulla Memoria. Tra cui la creazione della Casa della Coesistenza (nel progetto con le autorità nazionali doveva essere la Casa dei Destini) “che mostrerà – scrive la Federazione ebraica ungherese – le centinaia di anni di coesistenza tra ungheresi ebrei e ungheresi non ebrei, il nostro contributo al benessere e allo sviluppo dell’Ungheria”.
Daniel Reichel, Pagine Ebraiche, aprile 2014
(20 marzo 2014)