Il futuro è tutto da leggere
La fata buona che da quasi quarant’anni guida le Edizioni EL, la più importante casa editrice italiana specializzata in libri per ragazzi, ha un sorriso capace di incantare qualsiasi orco cattivo, ma bisogna prestare molta attenzione: la sua dolcezza e il suo entusiasmo contagioso nascondono un’anima d’acciaio. È implacabile, Orietta Fatucci: non si è mai piegata alle mode e non ha mai accettato compromessi sulla qualità dei circa trecento libri che pubblica ogni anno, più di uno al giorno. E non è stata piegata neppure dalla crisi economica, che ha colpito duramente anche l’editoria.
Dopo tanti anni, saldamente al posto di comando, passione ed entusiasmo sono immutati: “Qua sono, ancora, e non potrei chiedere di più… potrei non essere pagata, farei tutto allo stesso modo, sicuramente”.
Ci eravamo viste già la scorsa estate, in un momento in cui sembrava prevalere la preoccupazione.
La crisi del mercato editoriale per me è iniziata a settembre del 2011, e quel Natale non si sono venduti neppure i libri. Alla fine del 2012 avevamo avuto una flessione del fatturato che pur non essendo enorme – e comunque una delle minori nel panorama italiano – era preoccupante. Il calo in realtà era solo sul fatturato, il numero di copie vendute ha tenuto anche perché abbiamo puntato su libri che, pur senza ridurre la qualità, costino poco, anche molto poco.
Una strategia precisa?
Sì, certo. Credo di avere una buona capacità gestionale, è una cosa che mi piace. Sono sempre stata molto attenta, e a partire da quel periodo non possiamo più permetterci di sbagliare nulla. Lo ammetto, sono accentratrice, voglio controllare tutto. Se c’è un errore deve essere mio, non di altri.
È tutto merito tuo, allora?
No, assolutamente, non lo è mai stato: ci vogliono fortuna e buone occasioni, ma anche saper cogliere le opportunità… e senso di sacrificio e disciplina, una disciplina ferrea. Tutte le mattine faccio una breve riunione con ognuno dei responsabili di dipartimento. È importante che la comunicazione sia buona, anche tra di loro. Sanno che se dico “Ti devo parlare” è il momento di preoccuparsi. Deve funzionare tutto come un orologio svizzero, non ci possono essere errori.
Eppure qui l’atmosfera è serena, non mi sembra tu li terrorizzi…
No, certo che no! Ho dodici dipendenti interni – più i service, che mi permettono una maggiore flessibilità – e sono cresciuti con me. Siamo davvero una grande famiglia, sono bravissimi e preziosi.
Pensi ci sarà bisogno di scelte drastiche? La crisi è profonda, gli editori chiudono…
Ho avuto molti anni facili. Oggi invece è tutto più complicato, serve un approccio nuovo. È cambiato il mondo, è diverso il modo di vedere, di pensare, devo ragionare in un modo diverso, devo pormi in una maniera differente anche rispetto al mercato. Siamo comunque andati meglio di altri, e questo vuol dire che ci stiamo muovendo nel modo giusto.
La sensazione è che tu sia più ottimista rispetto al nostro scorso incontro. Cosa è cambiato?
Pochissimo. È vero però che già alla scorsa Buchmesse (la Fiera del libro di Francoforte, che si tiene tutti gli anni in autunno) molti editori americani sembravano essere fuori dalla crisi, o in ripresa. La sensazione generale è che ci sia una tendenza al miglioramento, e lo scorso Natale si sono di nuovo venduti molti libri. Per quanto mi riguarda però non è questo il punto: la realtà è che le cose non vanno meglio, però è subentrata una consapevolezza lucida. Annaspavamo, all’inizio, ora invece io ho già reagito, e la situazione non è peggiorata. Non va male, possiamo andare avanti così. La crisi è la stessa, ma io adesso so cosa fare.
Come stai procedendo, che scelte hai fatto?
Continuiamo a sperimentare, come facciamo da sempre, e continuiamo a non fare compromessi. Abbiamo lanciato nuove collane, cercato strade nuove, e abbiamo dalla nostra decenni di esperienza.
Einaudi ha acquisito il 50 per cento della EL nel 1991. Questo ti avrà aiutata, e forse influenzata, immagino.
Ah, no! Questo proprio no, l’ho messo in chiaro subito. Volevano comprare il 51 per cento, ma era del tutto fuori discussione. Non avrei mai accettato di perdere la mia autonomia, e nell’accordo è stato scritto chiaramente che l’amministratore sarei stata io. Da 23 anni è così, ed è una cosa abbastanza unica, hanno il 50 per cento ma hanno sempre rispettato quello che avevamo concordato allora. L’accordo mi ha portato i titoli per ragazzi dell’Einaudi e i due marchi editoriali Einaudi Ragazzi e EMME Edizioni. Ma noi non abbiamo cambiato direzione.
Allora perché questo accordo? Cosa ci hai guadagnato?
Avevo capito che le piccole case editrici non avevano possibilità. Ce ne sono, e fanno cose molto belle. Non siamo in competizione e non siamo neppure così diversi: fino al 1991 ero piccola anche io, lo so come funziona. Diventa durissimo lavorare serenamente e a furia di ridurre e tagliare, il rischio è di dover rinunciare alla qualità, alla bellezza. E questo io non lo volevo fare. La stessa cosa sta succedendo alle librerie: vanno bene solo quelle che fanno parte di una grande catena. Nonostante la passione, la competenza, la bravura. È terribile, ma le librerie indipendenti, che pure per noi sono importantissime e che andrebbero sostenute in ogni modo possibile, hanno poche possibilità.
Eppure sono un patrimonio enorme, ci lavorano persone incredibili…
Lo so bene, sono eccezionali, ne conosco molte. E in fondo per fare l’editore e per fare il libraio servono cose simili. Innanzitutto deve piacerti, devi andare sul campo e impegnarti in prima persona. Bisogna imparare da qualcuno, la teoria non basta per sapere come si fa un libro, o cosa piace oggi. Ci sono delle scuole, anche ottime, che a volte mi portano i loro allievi, ma bisogna mettersi in gioco, e lavorare tantissimo. Preparazione, disciplina, rigore, responsabilità… poi servono la passione, e l’istinto, certo, ma non ci si improvvisa.
Parli sempre al femminile, e non mi pare sia un caso.
Non è un caso, no… Ma se mi chiedi quanto conti l’essere donna in questo mestiere ti rispondo che è assolutamente irrilevante.
Irrilevante?
Ho qui dei collaboratori, uomini, bravissimi… Però certo, essere donna, lavorare come ho lavorato io e avere una famiglia, dei figli significa pagare un prezzo altissimo. Lo compensi con una forza e una determinazione speciali. Siamo sincere, bisogna sempre fare qualcosa in più, essere più brave, più chiare, più forti. Essere davvero in gamba non viene sempre premiato, purtroppo: ad alti livelli di donne non se ne vedono neppure nel mio settore. È un peccato. Anche perché, diciamocelo, lavorare fra donne ha aggiunto un quid di divertimento in più.
Dai sempre l’impressione di avere tutto sotto controllo… non sei stanca? Non hai mai voglia di fermarti?
Gaia, mia figlia, lavora in casa editrice da tanti anni, ma non viveva a Trieste. Ora è arrivato il momento e si è trasferita, con tutta la sua famiglia. L’integrazione è stata immediata e ha la mia totale fiducia. Il nostro è un progetto editoriale in cui ogni singolo titolo è stato scelto con cura entra a far parte di un disegno complessivo. Cerchiamo sempre un equilibrio fra le aspettative dei lettori, il cui gusto cambia con gli anni, e le cose che piacciono a noi. Gaia segue da sempre la parte grafica e la scelta degli illustratori, che sono per noi particolarmente importanti. La casa editrice è in buone mani anche il giorno in cui io sono malata e non posso tenere le mie riunioni quotidiane. Ma io per fortuna mi ammalo raramente.
Ada Treves, Pagine Ebraiche, aprile 2014
(21 marzo 2014)
(Il disegno è di Giorgio Albertini)