Tea for two – Incontri
Questi mesi di cattività milanese mi hanno permesso qualcosa di prodigioso: la possibilità di conoscere una quantità considerevole di esseri umani. Dai miei colleghi che rispondono in coro ‘Shabbat shalom’ quando il venerdì pomeriggio taglio la corda prima del tempo, a F. e A. che mangiando a un sushi dove ho lasciato un decimo dello stipendio si sono sorbiti le mie teorie strampalate su La versione di Barney. Per non parlare di D. che accetta di vedere con me “La grande bellezza” tracannando birra e mangiando pizza e mi regala l’impagabile sensazione di essere per una volta la classica persona banalmente felice. A. invece decide di uscire con me durante Shabbat, invece di strimpellare la chitarra e non si turba se giriamo a piedi mentre mostro fiera la mia cintura di Shabbat. “Dove si va a pranzo oggi ragazzi?”, l’impagabile gioia di andare al solito bar con i compagni di sventura in pausa e prendere la solita tristissima insalatina. E il tuo capo che aiuta a prepararti psicologicamente prima di un appuntamento e ti prenota qualcuno che ti stiri i capelli, dove lo metti? Come si possono riassumere cinque mesi e mezzo di crisi mistiche, cadute, ricadute e attimi di libertà, ma libertà vera, quella che ti punge il naso? Tra amici che partono, tornano, ti aprono il loro cuore sorseggiando un the. Tra negozi meravigliosi, addetti alla sicurezza che ti augurano il buongiorno e zii che, nonostante la terribile pigrizia, non ti hanno ancora cacciata di casa. Anche il corpo si adegua alla progressiva sensazione di leggerezza, con i capelli da ‘chisseneimporta’ e le scarpe da ginnastica per darti lo slancio. Torno, è ora. Forse no.
Rachel Silvera, studentessa
(24 marzo 2014)