Qui Firenze – Giustizia e disobbedienza

foto fiDisobbedire è giusto? Questa la domanda che ha guidato il secondo incontro fiorentino del ciclo “Aspettando il Balagan” presso la Comunità ebraica insieme al Dipartimento Educazione e Cultura dell’UCEI. A parlarne sono stati rav Scialom Bahbout e il giudice Ferdinando Imposimato. Da entrambe le relazione, ricchissime di spunti, è emersa una questione fondamentale: se da una parte è giusto obbedire alla legge, come espressione della giustizia e dei diritti inviolabili dell’uomo, dall’altra ci sono casi in cui la disobbedienza si presenta invece come scelta legittima per l’attuazione di questa stessa.
Il problema sorge sempre da un conflitto. Nella tradizione ebraica, che è caratterizzata da una storia di numerosi disubbidienti, il conflitto emerge nella contrapposizione tra azione e intenzione, tra la “mitzvà”, ovvero l’ordine che determina l’azione nel qui e ora, e la “cavvanà” che può contemplare anche una trasgressione nel raggiungimento delle proprie finalità positive. Questa contrapposizione emerge in modo ancora più evidente all’interno dello Stato, dove spesso la disobbedienza civile può diventare un veicolo dell’attuazione di una giustizia sociale e dei diritti dell’uomo non sempre tutelati. A detta del giudice, in Italia tale contrasto risulta spesso dalla coesistenza di due codici legislativi di due matrici differenti, una repubblicana e l’altra fascista: da una parte infatti abbiamo la Costituzione, sorta dopo il fascismo a tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, dall’altra il Codice penale che risale al 1930 e che forse, sarebbe il caso di aggiornare. Per fortuna tra Costituzione e Codice penale, vince la nostra Costituzione.

(2 aprile 2014)