Periscopio – L’appello e le riforme
Ho letto e apprezzato diversi dei libri di Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky e ne ho sempre ammirato la lucidità di analisi, l’indipendenza di giudizio, il radicato attaccamento ai valori di libertà e democrazia. Ho letto con la dovuta attenzione, perciò, l’appello, da loro firmato, insieme ad altri intellettuali, contro la proposta di riforma della Costituzione – con la modifica del titolo V, la trasformazione del Senato in organo non elettivo e il superamento del bicameralismo perfetto – portata avanti dall’attuale maggioranza di governo, col consenso di altre forze politiche parlamentari. Un progetto che, secondo i sottoscrittori dell’appello menzionato, rappresenterebbe addirittura una “svolta autoritaria”, che darebbe al Presidente del Consiglio “poteri padronali” e andrebbe perciò, assolutamente contrastata, mentre “la stampa, i partiti e i cittadini stanno attoniti (o accondiscendenti) a guardare”. “Bisogna fermare subito questo progetto”, si legge ancora nell’appello, perché “una democrazia plebiscitaria non è scritta nella nostra Costituzione e non è cosa che nessun cittadino che ha rispetto per la sua libertà politica e civile può desiderare”.
Questo grido d’allarme, per l’autorevolezza di chi lo lancia, e per la gravità del rischio paventato, non può passare sotto silenzio (soprattutto davanti a chi ritenga di avere un po’ di rispetto per la propria libertà politica e civile, e non gradirebbe di vedersi tacciato di ignavia o viltà di fronte al pericolo). Se fosse vero, poi, che un rischio autoritario grava sul Paese, nessuno più delle minoranze culturali e religiose (e in primo luogo la minoranza ebraica) avrebbe ragione di allarmarsi, perché si sa bene come vanno queste cose, chi sono i primi a fare le spese degli autoritarismi.
Ma l’appello non mi convince, e ho la sgradevole sensazione che la mia percezione della realtà sia molto diversa da quella di Rodotà e Zagrebelsky. Mi sembra, infatti, che la loro preoccupazione sia soprattutto quella di difendere l’attuale sistema di rappresentanza parlamentare, in quanto presidio della democrazia e della civile convivenza, la cui modifica potrebbe quindi mettere in forse i valori democratici incarnati e difesi dalla Carta Costituzionale. La modifica della seconda parte della Costituzione comporta il rischio di una deriva plebiscitaria, con il conseguente rischio di svolta autoritaria? Sinceramente non lo penso (di modifiche del Senato ne sento parlare da quando ero ragazzo), ma il punto importante non è questo, bensì il fatto che, secondo me, a essere ampiamente vilipesa, e da tempo, è proprio al prima parte della Costituzione, ben più importante della seconda, laddove essa difende i valori inalienabili della dignità e della libertà del singolo individuo, del reciproco rispetto e della solidarietà collettiva. Questi valori sono, da molti anni, oggetto di una furiosa aggressione da parte di forti e violenti movimenti di opinione, decisamente eversivi rispetto alla spirito della Carta, dal cui canto sinistro alcuni degli autorevoli intellettuali firmatari dell’appello si sono lasciati più volte, purtroppo, ammaliare. Siamo sicuri che, oggi, difendere la democrazia coincida col difendere l’attuale assetto istituzionale, così com’è, anche quando le aule del Parlamento sono state degradate a becera arena di insulto, disprezzo, sopraffazione, volgarità? È questo il senso della nostra Costituzione? Mi pare sinceramente strano che chi dichiara di avere a cuore la Costituzione si allarmi per qualche modifica della sua seconda parte, e non si mostri turbato dei gesti di chi mostra, ogni giorno, di stracciarla rabbiosamente nella sua interezza. Come interpreteremmo, per esempio, la preoccupazione di un intellettuale ungherese che, di fronte all’inquietante esito elettorale, si dica preoccupato di una qualche riduzione degli spazi parlamentari di confronto politico, mostrandosi indifferente di fronte all’ondata nera che avanza in quel Paese? Delle due l’una: o l’avanzata del neonazismo non lo preoccupa, o fa come quei violinisti che suonavano mentre il Titanic affondava. E l’Italia, secondo me, non è messa meglio dell’Ungheria.
Di qui la mia perplessità. Che è diventata una certezza, nel momento in cui l’appello in questione ha subito guadagnato la firma (senza che ciò abbia provocato alcun imbarazzo nei proponenti) di quelli che ritengo i capi del P.I.N. (Partito dell’Imbarbarimento Nazionale). Un partito molto attivo, com’è noto, soprattutto fuori dal Parlamento, e per il quale anche l’abolizione di entrambe le Camere non sarebbe certamente motivo di preoccupazione, anzi.
Francesco Lucrezi, storico
(9 aprile 2014)