Il Midrash e il silenzio
Nell’ambito del ciclo Temi e immagini del pensiero ebraico, organizzato a Genova da Laura Quercioli Mincer, mercoledì è stata presentata e commentata da Ilana Bahbout una videoconferenza di rav Benedetto Carucci dedicata al Midrash e al silenzio. Chiunque conosca la magia espositiva di rav Carucci non dubiterà dell’efficacia della lezione. Dopo una sintesi introduttiva sulla specificità dell’esegesi ebraica, sul ruolo propriamente metodologico dei Midrashim e sulla loro capacità di far emergere il nuovo dall’antico, rav Carucci ha affrontato il tema del silenzio. Ha argomentato l’idea che il silenzio indichi accettazione, condiscendenza verso gli accadimenti, ovvero un superamento del “dissenso” insito nella parola pronunciata; ha quindi approfondito la rappresentazione del silenzio nell’ermeneutica dei Midrashim, in cui spesso ed esemplarmente si attua un’indagine sul “non detto”. Queste molteplici suggestioni mi hanno ancor più convinto che la concezione del silenzio nella tradizione esegetica ebraica sia il modello “primario” dell’ermeneutica psicoanalitica. Il silenzio in psicoanalisi è parte integrante del discorso, canale di accesso a significati latenti e l’interpretazione del silenzio, come nel Midrash, è ricerca di senso nella “parole mancate”. Insomma, la mela è caduta alle radici del melo e, per dirla in modo un po’ sfrontato, la psicoanalisi è una versione laica del darash, lo psicoanalista è un po’ rabbino e le sedute sono una verbosa negoziazione ebraicamente guidata dai silenzi.
Laura Salmon, slavista
(11 aprile 2014)