Identità: Abraham Y. Heschel

Portrait Of Rabbi Abraham HeschelNel 1958 l’allora Primo ministro dello Stato di Israele, David Ben Gurion si è trovato a gestire il fatto che la nozione stessa di identità ebraica era diventata in Israele oggetto di una legislazione che avrebbe avuto implicazioni pratiche cruciali. A cinquanta “Saggi di Israele” Ben Gurion pose la domanda divenuta il titolo del lavoro del professor Eliezer Ben Rafael, che in un e-book intitolato “Cosa significa essere ebreo?” – scaricabile dai siti www.proedieditore.it e www.hansjonas.it – ha messo in luce per la prima volta in Italia quella discussione sistematica sull’identità ebraica. Ogni domenica, sul nostro notiziario quotidiano e sul portale www.moked.it, troverete le loro risposte.
Oggi quella di Abraham Yoshua Heschel (1907-1972)
Figlio di una famiglia di eruditi discendente da Dov Baer di Meserich e di Levy Yitzhak di Berdichev, riceve un’educazione tradizionale prima di iniziare gli studi all’università di Berlino. Nel 1937 sostituisce Martin Buber come insegnante e responsabile dell’insegnamento in varie scuole ebraiche ma viene arrestato dai nazisti ed espulso verso la Polonia (1938). Dopo aver insegnato in un istituto di studi ebraici a Varsavia, emigra in Inghilterra dove, a Londra, fonda l’Institute for Jewish Learning. Partito per gli Stati Uniti, è nel 1940 all’Hebrew Union College di Cincinnati dove insegna filosofia ed ebraismo. A partire dal 1945, insegna Etica ebraica e misticismo al Jewish Theological Seminary. Scrive molte opere sulla filosofia di Saadia Gaon, Ibn Gabirol e Maimonide, nonché sulla Kabbalah e lo chassidismo.

7 tevet 5719 (18 dicembre 1958)

Signor David Ben Gurion,

Qualche giorno fa mi è giunta la Sua lettera in merito allo stato civile in Israele. Ho riflettuto a lungo sia sulla Halakhah che sulla realtà. È un dato di fatto che all’interno del movimento nazionale, alcuni hanno tentato di fondare l’esistenza ebraica unicamente sul [principio] della nazione e di distinguere il popolo dalla religione. Capisco molto bene coloro che, in tutta sincerità, sono incapaci di definirsi ebrei da un punto di vista religioso, seppure restando legati al popolo, allo Stato e alla lingua ebraica.
Lei ha sottolineato, a ragione, che “la popolazione di Israele non si considera una nazione separata dall’ebraismo della diaspora”. So quanto Lei si preoccupa dell’esistenza del popolo in esilio. È precaria quanto quella di una montagna appesa a un filo e tale apprensione ci pesa come una spada a doppio filo. A mio parere, la decisione del governo può essere dannosa. Mi riferisco alla decisione che una persona adulta possa essere registrata come ebrea di religione o di nazione se dichiara in buona fede che è ebrea e non appartiene a nessun’altra religione. Da sempre è stato riconosciuto che il popolo di Israele e la Torah di Israele (non uso la parola religione) sono inseparabili. La decisione del governo le dissocia e stabilisce due autorità. Tale metodo, affermando che c’è un popolo ebraico senza religione, sottende la conclusione che c’è una religione ebraica senza popolo. La separazione può causare una frattura tra i [diversi] partiti della nazione e una trasformazione fondamentale nel carattere dell’essenza del popolo e dell’essenza della Torah: il popolo sarà allora uguale a tutti gli altri, la Torah sarà come tutte le altre religioni. La prima trasformazione spingerà a negare l’esistenza di una nazione ebraica e la seconda farà della religione di Israele una Chiesa o una setta. Una frattura simile potrebbe anche creare la possibilità che un ebreo convertito al cristianesimo possa restare ebreo.
Il fatto è che molti ebrei hanno perso la fede nel Dio di Abramo e nella sua Torah. Ma il fatto è anche che molti hanno perso la fede nell’esistenza del popolo, come nella nostra epoca si è persa la fede nel ritorno a Sion. [Molti] erano convinti che fosse arrivata l’ora dell’agonia. Ma quelli che vedono lontano non prenderanno in considerazione la mancanza di fede. Come un angelo cattivo può causare l’annientamento versando anche una sola goccia, un angelo buono può versare una goccia di fede che permette la vita. Il capitolo della religione non è ancora chiuso. Di giorno in giorno, i nostri figli si riavvicinano a noi. Non credo che la fede sia sul punto di spegnersi ma ritengo, invece, che si risveglierà e si rimetterà in moto. La riflessione e le esperienze quotidiane provano che non c’è alcuna possibilità di fondare l’esistenza ebraica in diaspora su una cultura ebraica laica. Tutte le speranze degli scrittori della diaspora di creare una cultura laica, sono stati vane e sono diventate insopportabili. Ci resta solo questa Torah e la nostalgia delle anime di trovare il cammino verso una vita che abbia un sapore di vita eterna. Lei ritiene che nello Stato di Israele “non si teme l’assimilazione degli ebrei tra i non ebrei”. A mio avviso il pericolo di assimilazione spirituale ci aspetta ovunque e anche la santità della Terra di Israele, e la santità del lavoro di ricostruzione di Israele, non potranno impedirlo.
[…] La disgrazia è che [alcuni] vedono tutto l’ebraismo attraverso il prisma della stretta osservanza, temendo di trasgredire la minima virgola e rinunciano alla “scintilla”. Rispettano i dettagli più dell’essenziale. L’estremismo e la severità ci nuocciono. Anche Dio, che ha prima voluto creare il mondo secondo il principio della rigorosa giustizia, ha capito che il mondo non poteva rimanere così e vi ha aggiunto il principio della bontà.106 La flessibilità è necessaria, non il fanatismo. Non possiamo obbligare nessuno ad avere la fede, perché quella che si ottiene con la costrizione è peggiore della miscredenza. Ma possiamo imprimere nel cuore il rispetto. Come gli stoppini delle candele aspettano di essere accese, molti sperano di ascoltare l’annuncio che il soffio di Dio aleggia sull’abisso,107 per sentirne la dolcezza. La disgrazia è che non conoscono la luce dell’ebraismo […].
[In pratica] se, per ragioni di sicurezza interna, è indispensabile che i residenti legali di Israele possano essere identificati con un documento, è possibile che quelli che non possono identificarsi come ebrei siano allora iscritti come “hébreux”.

(13 maggio 2014)