Emma Castelnuovo (1913 – 2014)
Figlia di Guido Castelnuovo e di Elbina Enriques, nipote del matematico Federigo Enriques, Emma Castelnuovo, nota a sua volta come Emmatematica, era nata a Roma il 12 dicembre 1913. Con una cerimonia tenutasi a dicembre scorso in occasione dei suoi cent’anni, al ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca le era stato conferito il premio Nesi, che va a coloro che si siano distinti nel campo dell’emancipazione delle persone e delle comunità attraverso attività socio-educativo-culturali.
Nota per aver inteso la scuola media come luogo integrale di formazione dei futuri cittadini, ha profondamente rinnovato l’insegnamento della matematica, in particolare della geometria, elaborando un metodo che permette a tutti di comprenderla e di amarla. E solo un mese fa, ennesimo riconoscimento al suo valore, l’International Commission on Mathematical Instruction, aveva istituito il Premio “Emma Castelnuovo” come riconoscimento per eccezionali traguardi raggiunti nella pratica delle didattica della matematica.
Laureatasi nel 1936, vinse nel 1938 una cattedra di insegnante per la scuola media, ma fu sospesa dal servizio dopo pochi giorni, a causa delle leggi razziste. Furono così gli allievi della scuola ebraica di Roma, dove insegnò dal 1939 al 1943, i primi a beneficiare dei suoi metodi innovativi e della sua capacità di affascinare gli studenti lasciando in loro un segno duraturo. Riuscì poi a sfuggire alle persecuzioni grazie alla rete di amici, prevalentemente matematici, che aiutarono lei e la sua famiglia.
Con le sue idee e la sua energia riuscì a spingere i suoi colleghi a un ripensamento profondo dei programmi e soprattutto dei metodi di insegnamento della matematica, e in particolare della geometria euclidea, delineando presto un sistema “attivo” per l’insegnamento della geometria intuitiva. Che divenne anche il titolo di uno dei suoi primi libri. Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana “per la passione e l’impegno profusi nel suo lavoro, che le hanno permesso di elaborare proposte didattiche profondamente innovative”, è ricordata per l’entusiasmo e la creatività che sapeva trasmettere, ma anche per le sue famose esposizioni di matematica, fatte di cartelloni e “apparecchi matematici” creati dai suoi allievi durante le lezioni.
Ada Treves twitter @atrevemoked
(17 aprile 2014)
Riproponiamo i testi del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, e del maestro Franco Lorenzoni, pubblicati sul numero di gennaio di Pagine Ebraiche.
Ragionare con la propria testa, sempre
Sono stato invitato a intervenire brevemente alla cerimonia in onore di Emma Castelnuovo non per i miei contributi alla matematica o alla didattica o alla cultura in senso lato, e neppure perché ho prodotto, da economista, negli ultimi anni qualche scritto a sostegno dell’investimento “in conoscenza”, ma come ex allievo – e ne ho visti tanti riuniti per l’occasione – e perché occupo pro tempore la carica di Governatore della Banca d’Italia, un incarico istituzionale di una certa importanza e di notevole responsabilità.
Il mondo dei miei anni di scuola media, iniziati oltre 50 anni fa, l’anno prima delle Olimpiadi di Roma, era un mondo molto diverso da oggi: la guerra era terminata solo 14 anni prima, l’Italia stava per ricevere l’Oscar alla lira come migliore valuta, si era in piena guerra fredda, ecc. Un tempo quindi lontano, oggi a guerra fredda finita, quando sono solo 15 anni che abbiamo adottato l’euro, in un mondo “globale”, “invecchiato” e forse come mai “tecnologicamente avanzato”. Tre condizioni, queste, che apparentemente non ci hanno favorito, soprattutto per i ritardi con i quali abbiamo risposto al loro verificarsi. Lo slogan di allora era “L’Italia in cammino”; dobbiamo con determinazione lottare perché si fermi al più presto la tendenza “al declino” che sembra aver colpito il nostro paese.
Non starò a dilungarmi su quanto sia importante contrastare i risultati deludenti dei nostri modesti investimenti, pubblici ma direi anche e soprattutto privati. Quanto si debba lottare contro l’analfabetismo “funzionale”, che discende dalla mancanza di competenze, di lettura e di comprensione, logiche e analitiche, commisurate alle esigenze di vita e di lavoro di oggi. Immagino che almeno in questo contesto, anche se con toni e modi diversi, siamo tutti d’accordo. Mi vorrei limitare a una constatazione, alcuni ricordi e qualche lezione.
Oggi, in particolare, e senza alcuna pretesa di avere superiori conoscenze pedagogiche mi paiono convincenti le argomentazioni di chi sostiene, anche nel nostro paese, che il tempo in classe potrebbe essere maggiormente dedicato allo studio, all’elaborazione personale, al confronto, alla discussione e alla negoziazione con gli altri, alla messa in pratica della conoscenza attraverso i laboratori, la “scuola capovolta”, flipped classroom, che non vuol dire tempo perso, confusione, rifiuto della valutazione, o del merito. A chi ha dubbi che questo capovolgimento funzioni credo che si possa rispondere con una certa sicurezza facendo riferimento alla lezione di Emma Castelnuovo. Per noi che abbiamo avuto la fortuna di essere suoi allievi il risultato è stato l’insegnamento – di cui all’epoca non eravamo forse consapevoli ma che con tutta la potenzialità dei nostri pochi anni già in nuce eravamo in grado di apprezzare – a ragionare con la nostra testa, a porci domande e ricercare risposte soddisfacenti, a confrontarci con i nostri compagni, a essere liberi e non condizionati.
Quanto ai ricordi, come tanti suoi allievi ho ancora chiara davanti a me la sfida di costruire un “geopiano” e soprattutto di utilizzarlo, e con esso stringhe, elastici e cartoncini, per comprendere, ancora prima di capire le modalità di dimostrazione delle proprietà fondamentali, la natura stessa e le caratteristiche principali della geometria euclidea.
Il ricordo è in parte quello di un gioco, ma in parte superiore è anche il ricordo di un desiderio di conoscenza e la consapevolezza che è possibile andare avanti, oltre le nozioni, per cercare risposte a domande concrete, al di là quindi dell’astrattezza di postulati, assiomi e teoremi.
Le lezioni, quindi. Almeno tre.
La prima lezione: non avere paura della matematica. Se non avessi avuto la fortuna di aver come insegnante Emma Castelnuovo, forse avrei avuto difficoltà a superare il trauma di avere “saltato” la quinta elementare (passando da Napoli a Roma) e aver fallito l’esercizio di matematica: ancora oggi, peraltro, ho qualche difficoltà con le divisioni, che risolvo per trial and error (e mi pare, anche se non ne sono sicuro, che la stessa difficoltà palesai all’esame di terza media, o forse di quinta ginnasio…). Matematica, quindi, per le persone comuni non come qualcosa di oscuro e inaccessibile a chi non ha il “bernoccolo” ma, come nell’etimologia greca, qualcosa che rende possibile, che aiuta ad apprendere. E quindi, con gli anni, la comprensione di quanto aiuti a ridurre la fallacia di un’argomentazione, l’approssimazione di un ragionamento.
La seconda lezione: non avere paura del cambiamento. Il cambiamento in questo caso era quello che riguardava la relazione tra docenti e allievi; la posizione relativa non era ovviamente in discussione, ma la comunicazione non era traumatica, si acquisiva la consapevolezza che si potevano porre domande e ricercare insieme risposte, senza timore di dire (eccessive) sciocchezze, anche qui come trail and error. Una lezione, questa, per gli anni successivi, e impegnativi, di scuola, così come quelli successivi della ricerca e del lavoro. Viviamo in un’epoca di cambiamento straordinario, la sfida più grande è quella di saperne trarre vantaggio, per vivere meglio, tutti. Non bisogna averne paura, quindi, ma imparare a dominarlo. Emma Castelnuovo, con la sua passione, il suo insegnamento, la sua vita ci ha insegnato quanto sia importante “imparare a imparare”.
Infine, la terza lezione: non avere paura dei giovani. Molti professori, anche negli anni remoti della nostra infanzia e adolescenza, avevano, hanno timore dei loro studenti. Lo stesso timore si manifesta a volte in altri contesti: in famiglia, in fabbrica, in ufficio, in politica. La lezione è semplice: quanto più e quanto meglio riesci a comunicare, con l’esempio e con la trasmissione semplice e disinteressata della conoscenza (anche nella percezione di chi la riceve), tanto più profonda e tanto più positiva sarà la risposta. Certamente profonda e positiva è stata la risposta che gli allievi e i colleghi hanno riservato in questi anni alla professoressa Emma Castelnuovo. E profondo è stato in questi anni, e continuerà a essere, il nostro grazie.
Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia
Pagine Ebraiche, gennaio 2014
L’officina matematica di Emma
Abbiamo festeggiato questo mese di dicembre i 100 anni di Emma Castelnuovo, la più radicale innovatrice di didattica della matematica che abbia avuto il nostro paese. Mi piace ricordare su queste pagine che è proprio nella scuola ebraica, messa in piedi in pochi mesi dalla comunità israelitica romana per reagire al sopruso delle leggi razziste del 1938, che la giovane figlia di Guido Castelnuovo ha compiuto i suoi primi passi, come insegnante alle magistrali.
Emma racconta che è in quei primi anni di insegnamento che si accorse quanto i programmi fossero discutibili e, in piena guerra, a casa dello zio Federigo Enriques, cominciò a ricercare, incontrando un testo sull’insegnare la geometria a partire dalla divisione dei terreni, scritto da Clairaut nel 1700. In quel piccolo gruppo, nel pieno della guerra, c’era chi progettava come ricostruire la società futura, a partire da una scuola capace di dare dignità a tutti.
Si, perché l’idea che le conoscenze matematiche potessero essere strumento di emancipazione e crescita civile, Emma Castelnuovo da allora non l’ha mai abbandonata.
Facendo un salto di 60 anni arriviamo al 2002, e troviamo Emma Castelnuovo, a 89 anni, che chiede a un gruppo di amici di inventare qualcosa per riprendere e valorizzare i materiali e gli strumenti che lei ha messo a punto negli anni, per appassionare i ragazzi all’apprendimento della matematica. La troviamo attentissima ai problemi di oggi.
Quando lei era andata in pensione, 30 anni prima, nelle scuole italiane non c’erano quasi alunni stranieri. Ma ora la sua attenzione è particolarmente rivolta ai nuovi ospiti che popolano le nostre scuole. E poiché il suo modo di ragionare sul presente la porta sempre a ripensare alla storia, Emma traccia un interessante parallelo tra gli immigrati italiani in America del primo novecento e gli immigrati che arrivano oggi da noi. Spinti da una forte motivazione quegli allievi (secondo alcune relazioni dell’epoca che ha ritrovato) erano tra i migliori studenti di matematica, perché più aperti e meno afflitti da una didattica chiusa, appresa in modo astratto.
Anche oggi molti alunni stranieri sono tra i migliori in matematica, quando la scuola riesce a offrire loro strumenti e opportunità per non rimanere indietro, a partire dal problema della comprensione della lingua. Ci si potrebbe domandare che c’entra la matematica con tutto questo. C’entra eccome -sostiene Emma Castelnuovo- perché la matematica è scuola di linguaggio, di chiarezza, di precisione comunicativa. Legandola alla questione del linguaggio, cioè il diritto di tutti ad esprimersi con chiarezza, Emma pone con forza il problema della democrazia, cioè il diritto di tutti ad imparare anche cose difficili, capaci di stimolare la curiosità verso il mondo e di aprire la mente. Nelle lezioni che dal 2002 ha cominciato a tenere nella casa-laboratorio di Cenci ogni anno, nel mese di settembre, nel corso dei tre giorni residenziali aperti a insegnanti di tutti gli ordini di scuola che chiamammo “L’officina matematica”, Emma Castelnuovo ha ripreso uno a uno i suoi temi più cari: la relazione arte e scienza, come territorio da tenere sempre presente, e il rapporto tra matematica e storia, accompagnato dall’invito a considerare sempre la matematica come un fenomeno culturale complesso, che ha legami con la storia delle diverse culture e civiltà in cui è andata sviluppandosi. (Le nove lezioni sono state pubblicate ne “L’officina matematica”, edizioni la meridiana, 2008).
Approfondire
l’atto del guardare
Alcune sue proposte le sento oggi particolarmente attuali e necessarie. Viviamo nell’epoca dell’immagine, ma dobbiamo domandarci quale sia la qualità del nostro guardare. Emma Castelnuovo presentava i problemi geometrici partendo sempre dall’osservazione attenta di oggetti e costruzioni, forme, figure e opere d’arte. In più occasioni ha sottolineato i rischi generati dalla perdita della durata del nostro guardare.
Poiché sono convinto che un ruolo importante della scuola, come dell’arte e della cultura, sia quello di offrire strumenti e possibilità per distanziarci e criticare il nostro tempo, la sua continua proposta di prolungare lo sguardo verso i fenomeni del mondo, accompagnando e sostenendo il guardare con domande profonde ed aperte, mi sembra di grande interesse.
La sua matematica è sempre partita da un’educazione dell’occhio, sostenuta da un ricorso continuo ai ricordi e alla memoria che ciascuno ha dei propri sguardi. A distanza di cinquant’anni ricordo con nitidezza quando ero suo allievo ed Emma ci faceva osservare i giochi che i raggi del sole compivano sul pavimento della nostra classe, “piegando” i rettangoli in parallelogrammi che si allungavano. Quelle figure erano affini ai vetri rettangolari di cui erano composte le nostre grandi finestre. Intrecciare ragionamenti riguardo a una proprietà geometrica a sguardi dedicati al sole e alle ombre ha permesso a Emma Castelnuovo di fondere qualità emotive, intuitive e cognitive nell’esperienza dell’apprendere.
Questo credo sia il motivo per cui quegli apprendimenti sono stati così densi da durare a lungo nel tempo e divenire per me, che faccio di mestiere il maestro elementare, un punto di riferimento imprescindibile.
Emma surrealista,
Emma ecologista…
Una caratteristica del suo insegnare era quella di riempire ogni giorno l’aula di ogni genere di oggetti, che poi proponeva di utilizzare, attivando la nostra immaginazione. Per mostrare figure geometriche e spigarne le proprietà Emma usava bastoni, fili, chiodi, elastici e tavolette, ma anche oggetti trovati chissà dove. Ricordo una volta che, venendomi a trovarmi a Cenci, volle a tutti i costi portare un appendiabiti costituito da un intreccio di ferri che aveva trovato in un cassonetto. “Le curve credo che siano delle iperboli – mi disse regalandomelo – e in ogni caso tu troverai il modo di utilizzarlo”. In effetti, a guardare con attenzione, i cassonetti sono pieni di parabole, oggi. In questo suo dare valore agli oggetti che si pensano ormai inutili c’è una considerazione del sapere artigiano, a cui lei ha sempre dato grande valore. Con il suo fare infervorato, ci ha sempre insegnato che ogni oggetto, prima o poi, può servire per imparare qualcosa.
Oggi, in un tempo così diverso dagli anni Sessanta, il valore dato alle possibilità transitive delle cose, mi appare come un prezioso antidoto contro un consumismo incapace di cogliere la seconda vita degli oggetti più diversi.
Inventare nuove funzioni agli oggetti quotidiani è forse il primo gioco infantile. Limitare le capacità poetiche che le cose suscitano nei bambini, quando sono liberi di giocarci come pare a loro, porta ad un pericoloso inaridimento culturale.
Se vogliamo innovare davvero la didattica, torniamo ai libri di Emma Castelnuovo che ormai sono dei classici, nel senso che Italo Calvino dava a questa parola: libri che non finiscono mai di dire quelle che hanno da dire.
È il più bel regalo che le possiamo fare per festeggiare i suoi straordinari 100 anni.
Franco Lorenzoni, maestro
Pagine Ebraiche, gennaio 2014