Identità: Yosef Kahaneman

ravNel 1958 l’allora Primo ministro dello Stato di Israele, David Ben Gurion si è trovato a gestire il fatto che la nozione stessa di identità ebraica era diventata in Israele oggetto di una legislazione che avrebbe avuto implicazioni pratiche cruciali. A cinquanta “Saggi di Israele” Ben Gurion pose la domanda divenuta il titolo del lavoro del professor Eliezer Ben Rafael, che in un e-book intitolato “Cosa significa essere ebreo?” – scaricabile dai siti www.proedieditore.it e www.hansjonas.it – ha messo in luce per la prima volta in Italia quella discussione sistematica sull’identità ebraica. Ogni domenica, sul nostro notiziario quotidiano e sul portale www.moked.it, troverete le loro risposte. Oggi è la volta di Yosef Shlomo Kahaneman. Nato in Lituania nel 1886, a 30 anni è nominato capo della yeshiva di Grodno e con questa carica promuove una rete di istituzioni sul territorio della Lituania, tra gli altri a Ponevezh. Nel 1919 Kahaneman è anche rabbino di quella città mentre si afferma la sua leadership nel partito Agudat Israel. È inoltre eletto al Parlamento di Lituania. Nel 1940, allo scoppio della Seconda guerra mondiale, è all’estero e emigra nell’allora Palestina sotto mandato britannico dove si dedica di nuovo allo sviluppo di una rete di istituzioni educative. Nel 1944 fonda la yeshiva di Ponevezh a Benei Berak. Con 1000 studenti, la yeshiva diventa il più grande campus del genere nel Paese.

Signor Primo ministro,
Ho ricevuto in ritardo la Sua lettera del 13 cheshvan (corrente) ma Le rispondo per
rispetto nei Suoi confronti.
Ho letto la lettera e le domande che vi sono poste non sono rivolte a me perché,
secondo il diritto ebraico, un decreto [giuridico] riguarda solo una questione per la
cui soluzione si deve scegliere tra due possibilità. Con mio grande rincrescimento,
sulla maggior parte delle domande poste le regole sono assolutamente esplicite
nella nostra santa Torah e ad esse ci possiamo soltanto conformare, o possiamo
rinnegarle, Dio non voglia! È così per il figlio di una donna straniera, che resta non
ebreo fino a quando non si è convertito. È una regola semplice e riconosciuta dal
nostro popolo e [che è enunciata] dalla nostra santa Torah, scritta e trasmessa dalla
legge orale, senza che nessuno vi si opponga in tutto il Talmud di Babilonia. E nel
Talmud di Gerusalemme, al decimo capitolo del Trattato Yevamot e al terzo capitolo
del Trattato Kiddushin è riportata la storia di Yaakov del villaggio di Nibbuyara che
è andato a Tiro. Lì, quando gli hanno domandato se [secondo la Halakhah] era
permesso circoncidere, il giorno di shabbath, il figlio di una donna aramea, ha dato
la sua autorizzazione. Ma anche quel Yaakov del villaggio di Nibburaya, dopo la
reazione del Rabbi Haggai, lo ha ringraziato per avergli insegnato la regola e di aver
[vivacemente reagito]. La storia si ritrova in un gran numero di fonti del Midrash:
Bereshit Rabbah, capitolo sette, Numeri, capitolo 19, Ecclesiaste, capitolo sette, Pesikta
rabbati, nel capitolo sulla vacca rossa ecc.
In tutte queste narrazioni, ritroviamo i due insegnamenti [della storia] di Yaakov
del Villaggio di Nibburaya: l’obbligo di uccidere i pesci secondo il rito e la circoncisione,
il giorno di shabbath, del figlio di un ebreo e di una donna straniera. Il fatto
che i due insegnamenti compaiano insieme, con la reazione del Rabbi Haggai che
non ha uguali da nessuna parte, pone in rilievo il loro aspetto strano e ripugnante
(nei due casi). [E del resto] Yaakov di Nibbuyara ammette di essersi sbagliato).
Sono sicuro che le domande sono frutto del tentativo di trovare una risposta e una
soluzione al grave problema posto dall’immigrazione dei nostri fratelli dai paesi
dell’Europa dell’Est e dalla loro integrazione in Terra Santa, mentre, con nostro
grande rincrescimento, c’è tra loro un certo numero di matrimoni misti. Ma coloro
che cercano una soluzione la troveranno esplicitamente nella nostra santa Torah.
Il problema non è nuovo nella storia del nostro popolo che vi si è già confrontato
quando i nostri avi sono arrivati [in Terra di Israele] all’epoca di Giosuè. [Basta
leggere] la sua profezia – testamento al popolo di Israele e al suo avvenire: “ Perché
se fate apostasia e vi unite al resto di queste nazioni che sono rimaste fra di voi e
vi imparentate con loro e vi mescolate con esse ed esse con voi, allora sappiate che
il Signore vostro Dio non scaccerà più queste genti dinanzi a voi, ma esse diventeranno
una rete, una trappola, un flagello ai vostri fianchi; diventeranno spine nei
vostri occhi, finché non siate periti e scomparsi da questo buon paese che il Signore
vostro Dio vi ha dato”.
Giosuè ha perciò avvertito il popolo del terribile annientamento [causato] dai matrimoni
misti nella nostra Terra santa. Il fenomeno si è ripetuto in modo ancora
più grave con la seconda immigrazione, all’epoca di Esdra. Settanta anni dopo la
distruzione del [primo] Tempio, quando, nei quaranta anni prima del loro ritorno,
gli uccelli non avevano cinguettato nel nostro paese, e coloro che ritornavano
erano soltanto un numero esiguo [perché] la grande maggioranza del popolo non
volle tornare. Avevano ancora davanti agli occhi le atrocità della terribile distruzione
e la desolazione del nostro paese. A prima vista sembrava che, per salvare
il paese [demograficamente], fosse necessario allontanarsi provvisoriamente dalla
Halakhah per quanto riguardava le donne straniere e i loro figli. D’altronde, alcuni
capi avevano adottato tale posizione (come dimostra il versetto: “I capi e i magistrati
sono stati i primi a darsi a questa infedeltà” ), il che spiega che ciò era stato
fatto metodicamente anche se il ritorno a Sion, a quell’epoca, aveva un carattere
religioso molto profondo che aveva messo il Tempio al centro della vita spirituale
del popolo. In un primo momento, non si vedeva un pericolo nel fatto che le
donne straniere si unissero con i loro figli [al popolo ebraico]. [Avremmo potuto
supporre] che la vita religiosa e il Tempio formassero un crogiolo, grazie al quale gli
stranieri potevano trasformare e [unirsi agli ebrei] per costituire un popolo unito.
Ma Esdra lo scriba ha avuto il forte presentimento che i figli stranieri e le loro madri
sarebbero stati il seme dell’annientamento e di una nuova distruzione: “Udito
ciò, ho lacerato il mio vestito e il mio mantello… io restai seduto costernato…
Ora, da poco, il nostro Dio ci ha fatto una grazia: ha liberato un resto di noi, dandoci
un asilo nel suo luogo santo… Potremmo forse noi tornare a violare i tuoi
comandamenti e a imparentarci con questi popoli abominevoli? Non ti adireresti
contro di noi fino a sterminarci, senza lasciare resto né superstite?”.
Esdra lo scriba, nella sua grandezza e nell’entusiasmo della sua fede, riuscì a convincere
coloro che erano appena rientrati a Sion a fare ciò che ordinava loro. E
oggi, siamo di nuovo di fronte a questo problema. Come però ho già detto, la soluzione
si trova nei nostri scritti sacri. In particolare con questa terza immigrazione,
nell’attuale situazione spirituale, quanto è grande e chiaro il pericolo delle donne
straniere e dei loro figli! Noi, tuttavia, che non cerchiamo proseliti, li accoglieremo
con amore, come ci è stato ordinato. Accoglieremo tutti quelli che vogliono unirsi
al nostro popolo, convertirsi e fondersi con Dio secondo l’antica Halakhah che,
sola, dà al nostro popolo la sua purezza e la sua particolarità, la sua pienezza e
l’eternità della sua esistenza.
Con rispetto e stima,
Signor Primo ministro,
mi sia ancora permesso d’aggiungere rispettosamente qualche parola dal più profondo
del cuore.
Vedo nel ritorno a Sion della nostra epoca un raggio di luce della Provvidenza che
ci tiene per mano e ci guida attraverso le acque della malevolenza che si alzano per
inghiottirci. Vedo Dio, che Egli sia benedetto, a ogni passo che fa il popolo che sta
a Sion. Sono convinto che anche Lei lo vede. Infatti, nessun’altro all’infuori di Lei,
il capitano che si trova alla guida della nave della nazione, vede così chiaramente i
tanti miracoli che avvengono ogni istante. Siamo il popolo di Dio e il nostro paese
è una terra celeste, come ha detto Sforno sul versetto: “I cieli sono i cieli del
Signore, ma ha dato la terra ai figli dell’uomo”. “Il mondo è il cielo di Dio”. Andiamo
incontro a Dio, accogliamolo, avviciniamoci alla Provvidenza che ci tende
la mano, troviamo il modo di incontrare i nostri fratelli ebrei nelle vie eterne del
nostro popolo, della sua Torah e dei suoi precetti, verso la Redenzione che speriamo
imminente.

(20 aprile 2014)