Dialogo, nuove sfide da raccogliere
L’articolo del rav Riccardo Di Segni dal titolo “I limiti del dialogo e una sinfonia che suona male” in cui critica l’omaggio sinfonico alla memoria delle vittime ebree della Shoah da parte dell’organizzazione cattolica Il Cammino Neocatecumenale, il concerto in memoria di Auschwitz e, implicitamente, i rabbini che hanno partecipato a questo evento e me in particolare, è stato portato alla mia attenzione la prima volta quando è stato pubblicato da Moked-Pagine Ebraiche in italiano. Nonostante il fatto che io considerassi l’articolo una visione ingiusta e distorta della realtà, non pensavo di dover replicare pubblicamente, lasciando in tal modo intendere che potesse esserci un conflitto personale tra me e il rav Di Segni. Infatti, anche quando il suo articolo è stato pubblicato in inglese, desideravo attendere l’occasione di un faccia a faccia con rav Di Segni per esprimere di persona le mie forti riserve riguardo ai suoi commenti e al suo approccio alla questione. Durante questo incontro, che si è svolto nel suo ufficio un mese e mezzo fa, ho cercato di chiarire i fatti e la mia posizione e ho detto che non avrei voluto contraddirlo pubblicamente. Rav Di Segni mi ha detto che, al contrario, se avessimo avuto una sincera differenza di pareri (che io chiamai un “makhloket lshem shamayim”, cioè un argomento sincero per il bene del Paradiso), allora avrebbe gradito una pubblica replica. Sono rimasto comunque sorpreso nel vedere che il suo articolo è stato pubblicato di nuovo dalla versione internazionale di Moked e quindi, alla luce dell’incoraggiamento del rav Di Segni, ho deciso di avvalermi di questo “diritto di replica”.
Vorrei innanzitutto mettere le cose nel giusto contesto. Il Cammino Neocatecumenale ha svolto un ruolo fondamentale per il successo della visita in Israele nel 2000 di papa Giovanni Paolo II. A seguito di ciò, le autorità locali e nazionali israeliane hanno concesso a questo movimento di costruire un centro notevole sul sito di Corozim sul Lago Kinneret, dove il papa aveva radunato centinaia di migliaia di fedeli. Questo centro, Domus Galilea, non è solo un luogo di ospitalità e congressi, è un centro dedicato all’insegnamento ai cattolici circa le radici ebraiche della loro identità e all’amore verso il popolo ebraico e lo Stato di Israele. Va detto inoltre che il movimento gestisce un seminario che educa a questo spirito, tra gli altri, anche seminaristi arabo cristiani. Il primo del suo genere in Medio Oriente.
L’idea che questo movimento stia cercando di incoraggiare sincretismi e di confondere i confini tra le religioni cristiane ed ebraiche, non rende assolutamente giustizia all’ethos e alle azioni di questo movimento. Inoltre, Domus Galilea ha ospitato in passato i Rabbini Capo di Israele e altri rappresentanti della leadership rabbinica ortodossa israeliana.
Contrariamente a quel che possa essere suggerito dal rabbino Di Segni, Kiko Arguello – il fondatore di questo movimento – non ha composto questo omaggio sinfonico alle vittime della Shoah per un pubblico ebraico: tutt’altro. Lo ha scritto da cristiano, per cristiani, con tematiche cristiane, sia teologiche che liturgiche. Ed è attraverso questi concetti che la sinfonia riconosce la sofferenza ebraica, e la rinascita della vita ebraica; e il culmine del concerto è una resa corale di Shema Yisrael. Come ho detto nell’intervista originale ad un quotidiano spagnolo, alla cui ristampa nell’Osservatore Romano ha reagito il rav Di Segni, considero quest’opera un omaggio cristiano al popolo ebraico, profondamente commovente per quest’ultimo, rispettoso della sua sopravvivenza e del suo rinnovamento, anche se, come ho già detto, tutto questo è espresso in termini cristiani da parte di credenti cristiani.
Dopo uno o due spettacoli, Kiko Arguello ha eseguito il concerto alla Domus Galilea, al quale sono stati invitati un paio di amici ebrei israeliani, tra cui i rappresentanti del Gran Rabbinato di Israele. La reazione positiva era entusiasta e Kiko è stato incoraggiato a invitare osservatori ebrei a concerti futuri in sedi laiche. L’evento ad Auschwitz potrebbe essere descritto come il culmine di questo processo.
Io credo che il rabbino Di Segni sollevi due questioni fondamentali. La prima è se sia o no auspicabile (per non dire moralmente giustificabile) cercare di negare ai cristiani il diritto di scorgere la presenza divina nella storia, attraverso la lente della loro fede religiosa. Ho sentito parlare in passato di questa presunta “cristianizzazione della Shoah”, di cui fu accusato persino papa Giovanni Paolo II da parte di un israeliano laico di origini italiane, che pare trovi difficile accettare una risposta affermativa (!) e per il quale non v’è nulla che la Chiesa cattolica possa fare di buono (in contrasto con l’altro articolo pubblicato sul vostro sito in cui i rabbini italiani, incluso rav Di Segni, danno il benvenuto a papa Francesco, questo signore insiste sul fatto che Francesco, come Giovanni Paolo II, sia semplicemente un lupo travestito da pecora!).
Ma perché poi il punto di vista di una fede diversa a proposito della storia dovrebbe sminuire il mio punto di vista ebraico? In realtà, l’intero cristianesimo è una interpretazione basata sull’ebraismo! È vero che in passato quella Fede costituì una minaccia per il popolo ebraico, ma la realtà di oggi è diametralmente opposta. Come diceva il professor Geoffrey Wigoder: “la Chiesa cattolica oggi è la forza principale nella lotta contro l’antisemitismo. Non solo non è più parte del problema, è parte della soluzione”. Il fatto che il cristianesimo si basi sulla Torah, non intacca in alcun modo il mio impegno e la mia fede ebraica, non vedo quindi perché un tributo cristiano ai martiri ebrei debba in alcun modo sminuire la memoria ebraica – al contrario.
Secondo me, forse la domanda più importante è se ci sia un problema halachico di “mar’it ayin”, cioè che l’essere presenti ad un tale tributo possa essere di cattivo esempio verso altri ebrei; e se si possa considerare una trasgressione del genere “lifnei Iver lo Titen mickshol”, cioè al divieto di porre una pietra d’inciampo davanti ad un cieco. A mio parere, quando un ebreo oggi vede un rabbino presente a un omaggio da parte cristiana al popolo ebraico non pensa che non ci siano differenze tra ebraismo e cristianesimo, ma conclude invece che quest’ultimo non sia più “il nemico” e che in realtà gli ebrei possono riunirsi oggi con i cristiani, anche in un contesto cristiano, senza sentirsi sminuiti, minacciati o insicuri. Si possono incontrare da ebrei orgogliosi di rappresentare la propria autentica tradizione di fede e, quindi, effettuare il “kiddush Hashem l’Einei hagoyim”, una santificazione del Nome Divino nel mondo.
rav David Rosen, direttore internazionale per i rapporti interreligiosi dell’American Jewish Committee
e Consigliere al Gran Rabbinato di Israele
(23 aprile 2014)