Ticketless – Le orecchie lacerate dal “chiel”

cavaglionDa settimane trascuro il tema per cui Ticketless è nato: le comunicazioni interurbane, ferroviarie ma non solo. Come allignavano gli ebrei veneziani a Milano? I milanesi a Roma, i romani a Trieste, i triestini a Ferrara, i ferraresi a Mantova, i mantovani a Bologna? Andata e ritorno (o solo andata): per ragioni di cuore, matrimoniali, ma anche professionali o di studio. Ogni vettore, quale che sia la meta e l’approdo, presenta sorprese. Oggi vorrei parlare, sono parte in causa, dei piemontesi a Firenze. Lo faccio a partire da un saggio inedito scritto da una studiosa, che reputo fra le migliori conoscitrici degli archivi (non soltanto ebraici) in Toscana, Liana Funaro. A lei si devono studi sulle comunità di Livorno e Firenze, edizioni di carteggi di Benamozegh e tante altre cose sempre accompagnate da una rara sensibilità umana. Il saggio che ho appena finito di leggere riguarda il breve periodo in cui Firenze fu capitale: trovo citata una meravigliosa lettera di Giacomo Dina indirizzata al segretario di Cavour, Isacco Artom. I due maggiori esponenti dell’ebraismo ottocentesco (tra parentesi: come è caduto in basso, rispetto ad allora, il nostro contributo fattivo alla vita politica italiana odierna). Dal Po all’Arno, sulla strada del Tevere. La lettera reca la data dell’8 novembre 1865, impagabile l’ironia di Dina: “Immaginati che sono arrivati più di 15mila piemontesi. Il dialetto di Gianduja prevale nelle vie, nelle locande, nei teatri. Vi hanno quelli che si ostinano a non voler parlare che in piemontese, con gran dispetto dei fiorentini, le cui orecchie sono lacerate dal chiel e dal come stalo. […] E’ notevole la trasformazione che subisce la città, sorgono bei negozi, succursali di commercianti di Torino. Per poco che si vada di questo passo, anche il fiasco tradizionale scomparirà dalle locande”.

Alberto Cavaglion