Il visibile e l’invisibile
I giornali italiani riprendono con enfasi e preoccupazione i risultati di una inchiesta condotta da Le Monde in Francia dalla quale emerge che un corposo numero di studenti francesi crede alle teorie complottiste. La storia, così come anche la più minuta cronaca, sarebbero il prodotto di una volontà occulta, una coalizione di elementi capaci di condizionare gli eventi senza che tuttavia tale intenzione sia da essi esplicitata. Mettiamo allora in chiaro da subito cosa intendiamo con la parola complottismo. Con tale espressione ci si riferisce a un insieme concatenato di affermazioni sulla comprensibilità e l’interpretazione dei fenomeni sociali e collettivi. La concatenazione indica che tra le distinte affermazioni sussiste un nesso logico continuativo, che fa sì che nel loro insieme esse risultino verosimili a chi le ascolta. In altre parole, sono dotate di una razionalità, che permette di stabilire un rapporto congruo, plausibile ma non necessariamente vero, tra dichiarazioni di principio e loro applicazioni nei singoli casi presi in considerazione. Il fatto che vi sia razionalità, tuttavia, non implica in alcun modo che esse siano altrettanto ragionevoli. La razionalità, in questo caso, rimanda infatti alla loro coerenza interna. Dopo di che, posta tale premessa, il complottismo (o logica del complotto) è quell’atteggiamento che, pretendendo di avere ragione a prescindere da qualsivoglia riscontro alternativo, afferma – o si basa su – quanto segue: 1) la comprensione dei fenomeni collettivi implica che di essi si colgano le dinamiche latenti o clandestine, ossia celate o comunque omesse alla comune percezione. Sono queste ultime a spiegare tutto, poiché il visibile si può solo spiegare con l’invisibile; 2) ogni fatto sociale, a partire dai rapporti di potere – di per sé asimmetrici, poiché vi è potere solo dove esiste una diversa distribuzione di risorse e di capacità di fare ricorso ad esse, con le diseguaglianze che ciò implica – è il prodotto di una ferrea intenzionalità, se non di un progetto definito a priori, di cui sono a conoscenza solo pochi, i destinatari dei benefici che dal suo dispiegarsi deriverà loro; 3) tutto ciò che succede è, nel medesimo tempo, sia il risultato di una volontà predefinita che l’inevitabile manifestarsi di qualcosa di occulto, tale perché trae la sua potenza propriamente dal celarsi; 4) la funzione di tale occultamento, perpetuato da determinate «forze» (ossia coalizioni d’interessi tra soggetti accomunati da identità omogenee o da una convergenza di obiettivi) è costituire un’egemonia sulle società del pianeta, sulle comunità umane, sugli individui, espropriando tutti delle loro risorse, dei loro diritti, della libertà di giudizio e di azione; 5) il complottismo, quindi, si autodefinisce come una forma di ‘sapere’ elevato, poiché consapevole delle mistificazioni e delle manipolazioni in atto, nonché della vera posta politica in gioco. Come tale, dichiara di volere smascherare l’azione nefasta delle forze occulte, denunciandone l’esistenza e ribaltando i loro calcoli d’interesse attraverso un’azione di mobilitazione delle coscienze. Il complottismo sta alla conoscenza così come il populismo sta alla democrazia: l’uno e l’altro ne sono una patologia occasionale, quand’essi si esprimono in piccole nicchie, relativamente circoscritte. In genere si rivestono allora dei panni settari, presentandosi come saperi iniziatici, per pochi intimi. Della scienza ‘ufficiale’, in genere abiurata come bieco strumento di potere, adottano alcuni paradigmi per legittimare il proprio modo di procedere concettuale e, soprattutto, per rivestirsi di una sorta di patina di credibilità dinanzi agli occhi del grande pubblico. Di fatto il complottismo ha un approccio scientista, che scimmiotta metodi mutuati dal sapere scientifico per poi però dichiararlo destituito di fondamento, corrotto nella sua natura di discorso ideologico sui fatti della vita. Quando invece diventa un sentire diffuso, condiviso, volgarizzato poiché utilizzato da molti come modo per interpretare ogni fatto della quotidianità, o quantomeno quelli più significativi, allora la piegatura che assume non solo si fa più preoccupante ma anche maggiormente banalizzata. A rischio di perdere di coerenza il complottismo, la cui forza si basa sulla ripetizione a tempo indefinito dei medesimi cliché, reputati veri perché reiterati ossessivamente, cerca di assumere le vesti di un discorso sulla politica e sugli ordinamenti umani. La sua forza è quella di istituire una falsa democrazia, quella che deriva dal convincimento che svelare il complotto che starebbe dietro ad ogni situazione di potere (e, come già si diceva, alle asimmetrie tra esseri umani che esso implica) porterebbe ad una condizione di eguaglianza reale gli individui, finalmente liberati non solo dall’ignoranza ma anche dalle servitù. In una espressione, resi indipendenti dal ricatto delle diseguaglianze. Il complottismo, che gioca allo sfinimento sulla dialettica tra visibile e invisibile, dove il primo è denunciato come una parvenza, una finzione in funzione del secondo, si presenta quindi con i caratteri di una vera e propria falsa coscienza. Chi interpreta la complessità del mondo e della sua storia nei termini di un complotto, o del succedersi di più manipolazioni preordinate, è intimamente convinto di avere capito come stiano “per davvero” le cose. Per il fatto stesso di imputare a ciò che non è visibile la ragione di quanto accade, ritiene di essersi impossessato finalmente della chiave per comprendere i meccanismi delle relazioni umane. In questo, chi è motivato da tali convincimenti, pare fare proprio un atteggiamento positivista, dove predomina l’assunto per cui tutto è, in fondo, conoscibile. Basta che lo si “smascheri”. Non di meno, ad esso spesso si associa il presupposto per cui ciò che accade non può mai essere inteso come un fatto casuale, essendo semmai parte di un più ampio sistema di avvenimenti legati ad un preciso progetto. Ovviamente occulto. In questo modo si ha l’impressione di avere finalmente capito qual è il senso della stessa esistenza, altrimenti incomprensibile. Per alcuni, ciò diventa una filosofia di vita, a volte in sintonia con una sorta di concezione New Age, un po’ bislacca ma non necessariamente pericolosa o offensiva. Si tratterebbe, nel qual caso, di liberare il ‘potenziale umano’ dai condizionamenti che ne vincolerebbero la libera espressione. Una visione ingenua del rapporto tra individuo e collettività, dove si finge che la forza del primo possa prescindere dai vincoli oggettivi della seconda. Per altri, invece, il complottismo diventa lo strumento per avanzare rivendicazioni politiche e condizionare, in maniera pesante, la sfera pubblica. Tutta la storia dei movimenti radicali dell’estrema destra è connotata in tal senso. Dalla reazione agli effetti della Rivoluzione francese e della caduta dell’Ancien Règime, alle recentissime affermazioni elettorali di movimenti come l’ungherese Jobbik, c’è come un filo nero di continuità. Almeno laddove si nega qualsiasi autonomia alle forze sociali, quelle presenti sul proscenio pubblico, in rappresentanza di interessi dichiarati, per sostituire ad esse, e al loro legittimo conflitto, il discorso sull’influenza dei gruppi di interesse occulti. Inutile citare un classico della letteratura in tal senso, quei ‘Protocolli dei Savi anziani di Sion’ che costituiscono il vertice di tale approccio alla lettura controfattuale, immaginifica e diffamatoria della contemporaneità. C’è tuttavia ancora qualcosa da aggiungere al riguardo. Affinché le teorie del complotto possano affermarsi devono trovare terreno fertile. Non sono indipendenti dagli strumenti che le veicolano, i quali spesso se ne fanno diffusori o vettori, più o meno consapevoli, in relazione al rafforzamento del proprio ruolo sociale. Un tempo, la lotta alla cosiddetta stregoneria era funzionale al consolidamento del potere temporale della Chiesa. Oggi il Web, come già abbiamo avuto modo di sottolineare per il negazionismo (che vive un rapporto di intensa reciprocità con il complottismo), costituisce un habitat naturale del complottismo. La sovrapposizione e, letteralmente, la confusione tra realtà e virtualità, agisce sul piano sia della cognizione che della stessa percezione dei fatti. Ma non c’è solo questo elemento ad entrare in gioco. Quando le società subiscono veloci trasformazioni, quando le persone vengono sottoposte a variazioni repentine del loro ruolo, soprattutto se ciò si traduce in una perdita di sicurezze e di certezze, la tentazione di interpretare il mutamento, percepito come minaccioso, in quanto prodotto delle cattive intenzioni di un gruppo occulto, che manovrerebbe il mondo, si fa molto più forte. È un meccanismo tanto banale quanto ripetuto, già nel passato. Già ci siamo trovati a dovere convenire, tuttavia, quanto la cosiddetta banalità rischi di essere un terreno fertile per i tracolli della ragione. Che – a questo punto lo si sarà inteso – non si nutre di pura razionalità. La quale, da sé, ha fatto funzionare tante cose del mondo della tecnica, tra cui anche le camere a gas.
Claudio Vercelli
(27 aprile 2014)