Wojtyla e Roncalli, il ricordo dei rabbini italiani
Grande l’attenzione dedicata in questi giorni dalla stampa alle relazioni speciali con il mondo ebraico che seppero instaurare i due papi festeggiati oggi dalla cristianità come santi. Ad intervenire alcuni dei più importanti rabbini italiani, testimoni e allo stesso tempo protagonisti di questa nuova stagione di amicizia che, nel rispetto delle differenze, avrebbe aperto fronti inimmaginabili sul fronte del dialogo e della conoscenza reciproca.
Intervistato dall’Adnkronos il rahbino emerito di Roma Elio Toaff, che accolse Giovanni Paolo II nella storica visita al Tempio Maggiore, ha affermato: “Nell’ebraismo non ci sono santi, ma soltanto giusti, e la canonizzazione di un santo è un fatto interno della Chiesa cristiana. Ma noi ebrei in questo momento vogliamo sottolineare che niente si attaglia meglio alla figura di Giovanni Paolo II della qualifica di giusto”. Oltre alla cerimonia del 1986, rav Toaff ricorda con particolare emozioni altri due momenti del pontificato di Wojtyla: le visite al campo di sterminio di Auschwitz e quella al Muro Occidentale del Tempio a Gerusalemme. Iniziative ad alto contenuto simbolico, sottolinea il rabbino emerito, che hanno segnato come pietre miliari il percorso che “con coraggio e fermezza ha inteso compiere come atto di sincero affetto e comprensione nei confronti del popolo di Israele” e allo stesso tempo di riparazione per le sofferenze e i torti inflittigli “nel corso della storia e culminati nella tragedia della Shoah”.
Il Corriere della Sera apre oggi con un’intervista di Gian Guido Vecchi al rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni. Ad essere ricordato, tra i momenti salienti del pontificato di Roncalli, l’impulso al dialogo sviluppatosi a partire dalla convocazione del Concilio Vaticano II e dalla pubblicazione della Nostra Aetate. Di Segni parla di “svolta epocale” e poi precisa: “La Nostra Aetate va inquadrata nel suo tempo, a rileggerla oggi si sente un po’ il peso dell’età. Anche il famoso gesto di Giovanni XXIII che fa fermare l’auto davanti alla sinagoga e dà la benedizione suona ora un po’ paternalistico. Ma certo la dichiarazione conciliare è la breccia che fa crollare la diga”. Suggestivo inoltre il parallelismo tracciato dal rav, che sceglie come modello di buone pratiche per entrambi l’anno 1946. Soffermandosi sulla drammatica vicenda dei bimbi ebrei nascosti nei conventi negli anni della Shoah e che dopo la guerra non avevano più famiglia, Di Segni elogia infatti il comportamento tenuto dai due religiosi. Da una parte Roncalli, nunzio apostolico in Francia, “che fece come non avesse ricevuto alcuna disposizione e lavorò con il rabbino Herzog perché i bambini ritornassero alle loro comunità”. Dall’altra il giovane sacerdote Karol Wojtyla che, poco prima di battezzare un bambino ebreo sfuggito alla Shoah grazie a una famiglia cattolica, “ascolta la storia del bambino e dice alla coppia: restituitelo al suo ambiente di origine”. Venerdì scorso, a Carlo Marroni del Sole 24 ore, rav Di Segni aveva spiegato: “Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II sono stati due grandi papi che hanno cambiato positivamente la storia delle relazioni della Chiesa con l’ebraismo. E questo è per tutti un segno di speranza”.
Sulla Stampa Maurizio Molinari intervista il rabbino Vittorio Della Rocca, autentica memoria storica della Comunità capitolina. Il rav era in sinagoga quel giorno del ’62 quando, come avrebbe osservato rav Toaff, i presenti assistettero alla prima benedizione di un papa nei confronti del popolo ebraico. Alla domanda di Molinari su quale impressione gli fece Giovanni XXIII il rav risponde: “Ricordo quel volto, in maniera nitida. Nella sua espressione c’era un misto di bontà e di sorpresa. Eravamo sorpresi noi a vedere lui e forse lo era anche lui a vedere noi, tutti in piedi, immobili ad osservarlo. Fu un incontro breve, casuale, ma molto intenso. Un piccolo grande gesto che si accompagnò all’epoca alla scelta di togliere l’espressione ‘perfidi giudei’ dalla preghiera del venerdì di Pasqua e alla memoria di quanto aveva fatto Roncalli durante la Seconda Guerra Mondiale, prima a Istanbul e poi a Parigi, a favore degli ebrei perseguitati dai nazifascisti”. Significativo anche il ricordo di Wojtyla, con il quale Della Rocca ebbe modo di parlare al termine della visita al Tempio Maggiore. “Quando Toaff mi presentò aggiungendo che mio padre era morto nella Shoah – racconta il rav – il papa mi chiese di raccontargli la sua storia. Volle sapere ogni dettaglio, a conferma che teneva molto alla memoria della Shoah”.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
(27 aprile 2014)