Esternazioni

lucreziQualche breve considerazione su alcune recenti esternazioni di tre personaggi pubblici, variamente influenti.
a) Non posso che condividere il sentimento di delusione che è stato manifestato da diversi commentatori, e che Adam Smulevich raccoglie sul numero di aprile di Pagine Ebraiche, relativamente alle recenti, infelici espressioni adoperate da papa Francesco il 27 e il 30 marzo scorsi, quando ha ricordato la ‘durezza di cuore’ degli ebrei del tempo di Gesù, la cecità del Sinedrio, l’ipocrisia dei farisei. E per chi, come il sottoscritto, si era speso in ripetuti, pubblici elogi del pontefice, la delusione è particolarmente accentuata. Sono state, indubbiamente, frasi poco carine, da parte di un amico del popolo ebraico. Mi sono ricordato, però, che papa Francesco è anche e soprattutto il capo della Chiesa cattolica, e che la Chiesa ha nei Vangeli il suo testo fondativo, la sua ineludibile pietra miliare. I testi evangelici, certamente, non sono immobili nel tempo, nel senso che possono essere variamente interpretati, inquadrati, riempiti di significato. Ma, nella loro lettera, non potranno mai essere modificati. E, dai Vangeli, il Sinedrio, i farisei e, in generale, “gli ebrei”, non escono molto bene. È un semplice dato di fatto. Ci saranno certamente nuove interpretazioni, nuove letture del “Mercante di Venezia” di Shakespeare, ma Shylock, in quelle pagine, sarà sempre rappresentato attraverso quelle parole, e così Caifa nelle pagine evangeliche. Certamente, il lavoro importane che deve essere compiuto, e che la Chiesa, con enorme ritardo, ha intrapreso, è quello di separare gli ebrei “letterari” dei Vangeli (di quel testo, di quello specifico contesto filologico, culturale, religioso) dagli ebrei “in carne e ossa”, di tutti i tempi e tutti i luoghi, dal popolo ebraico come realtà vivente. Su questa strada, la Chiesa va sollecitata, incoraggiata, giudicata, e abbiamo ancora fiducia che papa Francesco, su questa strada, voglia camminare. Ma non bisogna dimenticare che, finché esisterà la Chiesa, essa dovrà sempre confrontarsi con quelle pagine. È e resterà un problema, che non conoscerà mai fine.
b)La triste ‘gaffe’ del Segretario di Stato statunitense John Kerry su Israele, che rischierebbe di diventare uno Stato di apartheid, conferma, ancora una volta, il lento, inesorabile distacco che separa, ogni giorno di più, la superpotenza americana da quello che un tempo era il suo alleato numero uno. Una frase che viene dopo che Al Fatah, alleandosi con Hamas, ha chiarito, per chi ancora non lo avesse capito, quali sono le sue vere idee in materia di violenza, terrorismo, sincerità nel dialogo ecc., e che suona musica per tutti i nemici della pace. Se lo dice perfino l’America, come puoi pensare che non sia vero? E la violenza contro uno stato razzista, quale sarebbe Israele, è più che giustificata. Onore alle forti voci di critica che, negli Stati Uniti (solo lì, ovviamente), si sono levate contro l’incauto Segretario, che sembra avere definitivamente bruciato ogni sua residua credibilità come mediatore onesto e credibile.
c) Quanto alla parafrasi di Primo Levi fatta dal capo del PIN (Partito dell’Imbarbarimento Nazionale), niente da dire, è una non notizia. Conferma semplicemente un disgusto che, essendo già al massimo, non può aumentare.

Francesco Lucrezi, storico

(30 aprile 2014)