Adei – Violenza, il tempo di dire basta
Punire ma soprattutto prevenire. Se negli ultimi anni gli episodi di violenza e maltrattamenti ai danni delle donne in quanto donne, mogli, fidanzate, partner o ex riempiono sempre più spesso le pagina dei giornali, cresce, da più parti, la spinta a dire basta. Una spinta all’impegno per attivare non soltanto gli strumenti repressivi del fenomeno attraverso la legge penale, ma soprattutto la consapevolezza della necessità di una svolta culturale e quotidiana. Così il grande convegno “Prevenire e combattere la violenza sulle donne” organizzato alla Casa dei Diritti di Milano dall’Associazione Donne Ebree d’Italia affiliata alla Women International Zionist Organization in collaborazione con il blog al femminile del Corriere della Sera La 27esima ora e con la onlus Svs Donna aiuta donna ha riunito a discutere dell’argomento persone dal background diverso, giuridico, medico, giornalistico per affrontare una piaga sociale di cui, come ha ricordato la giornalista Luisa Pronzato del Corriere che ha moderato l’incontro “c’è ancora, purtroppo, bisogno di parlare”.
“Da sempre istituzionalmente attiva per la promozione dello status della donna in ogni settore della vita, la nostra associazione ha deciso di unire la propria voce a tutte le altre che si fanno sentire per dire un no definitivo alla violenza contro le donne” ha spiegato la presidente dell’Adei Ester Silvana Israel, che ha ricordato l’importante esperienza della Wizo nella realtà multiculturale dello Stato ebraico, dove è partner delle massime istituzioni e promotrice di importanti iniziative, dalle case di rifugio per donne maltrattate, a una linea telefonica dedicata agli uomini che vogliono chiedere aiuto contro la violenza che esplode in loro.
“Cambiare la cultura che sta alla base della violenza è un lungo percorso – ha concluso -gli ostacoli da rimuovere sono la non partecipazione, il chiamarsi fuori perché riguarda altri. Come donne ebree italiane conosciamo bene la pericolosità dell’indifferenza”.
Tante le sfumature da cui è possibile riconoscere i segnali dei primi disagi domestici, anche un atteggiamento eccessivamente protettivo, quell’affermare tra le righe “so io cosa è meglio per te” presente in tanti uomini nei confronti delle proprie compagne denunciato da Alessandra Kustermann, primario della clinica Mangiagalli e responsabile del Soccorso violenza sessuale e domestica. Amore, violenza, protezione e prevaricazione che si intrecciano in rapporti difficili che lasciano un segno profondo sulle nuove generazioni, sui bambini. E proprio il rapporto tra stereotipi e questioni di genere è stato al centro della relazione della neuropsichiatra infantile Elisabetta Bacca, che ha spiegato la crucialità della fase della preadolescenza.
A trattare il modo in cui la violenza sulla donna è affrontata in Italia dal punto di vista giuridico e delle forze dell’ordine sono stati l’avvocato penalista Daniela Dawan e il vice questore aggiunto della Polizia di Stato Marco De Nunzio: non solo gli strumenti offerti dalla legge penale, anche dopo le modifiche degli ultimi anni, tra cui l’introduzione del reato di stalking, ma anche l’impegno per formare gli operatori delle forze dell’ordine al giusto approccio. Violenze che rispondono all’esistenza di meccanismi psicologici precisi, insicurezza, carenza di autostima, bisogno dell’uomo di prevaricare gli altri per affermare se stesso, come ha spiegato Paolo Giulini, responsabile del presidio criminologico territoriale del Comune di Milano.
Ma contro la violenza si può imparare a difendersi, e non solo da un punto di vista psicologico: a offrire qualche dimostrazione pratica è stata Gabrielle Fellus, istruttrice di krav maga, tecnica di autodifesa personale sviluppata in Israele e affermata in tutto il mondo.
Israele dove si lavora per combattere la violenza sulle donne in tutti i settori della società, laica e religiosa, ebraica e araba, di tutte le provenienze, anche con l’importante contributo della Wizo, testimoniato dal caporedattore del Corriere Sette Laura Ballio, che ne ha visitato i centri.
Perché dire no alla violenza è un messaggio che non deve conoscere confini geografici, né culturali. L’unico fattore che conta è il tempo: uno solo quello ammissibile, il presente. Perché le bambine di domani non debbano conoscere le ferite di oggi.
Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked
(8 maggio 2014)