Qui Roma – Bele sì, ebrei ad Asti

Cop. Bele siUna vivace Comunità ebraica oggi scomparsa. Costumi, memorie, tradizioni dal Trecento ad oggi, in particolare della famiglia De Benedetti che popolò a lungo la zona, rivivono in un denso volume – Belè sì (proprio qui) Ebrei ad Asti, edito dalla Morcelliana – in presentazione nei prossimi giorni a Roma. L’appuntamento è per giovedì 15 maggio nella Galleria Sestieri di Piazza Margana. Assieme a Maria Luisa Giribaldi, che ne ha curato la stesura con Rose Marie Sardi, interverranno lo storico Giovanni Orsina e i giornalisti Enrico Mentana, Nathania Zevi e Stefano Folli. Tra i relatori anche Franco De Benedetti, che firma l’introduzione dell’opera.
“Quando scompare la Comunità, scompaiono le tradizioni locali, e an­che delle storie famigliari diventa difficile mantenere viva la memoria. La mia generazione – spiega quest’ultimo – è probabilmente l’ultima ad avere ancora ricordi personali di ebrei di Asti, l’ultima a riconoscere a prima vista i luoghi associati al ‘lessico famigliare’ raccolto da mio padre nel suo Nato ad Asti”.
Da qui l’idea di portare un contributo perché quell’immenso patrimonio di storie e di affetti, microcosmo di un’Italia ebraica frammentata ma fortemente legata al territorio, non vada perduto. Un’impresa affascinante, un’impresa soprattutto paradigmatica di una Diaspora in cui tante realtà locali, schiacciate nei numeri, rischiano sempre più spesso la sospensione tra memoria e oblio. Una sfida che non è soltanto storico-memorialistica ma anche filosofica.
“Molte – riflette infatti De Benedetti – sono le strade che hanno preso quelli che sono usciti dalle tante Asti d’Italia e del mondo. Ci sono quelli che ebrei lo sono nel rispetto della ritualità, nella conoscenza della lingua, nell’osservanza delle norme; e ci sono quelli interamente secolarizzati. Ci sono quelli per cui l’essere ebreo è diventare israeliano, altri per cui è avere il mondo come patria. Ci sono ortodossi e riformati. Ci sono cattolici che restaurano la sinagoga, ed ebrei orgogliosi di non averne una. Ci sono ebrei che immaginano il paradiso ‘come recupero delle piccole cose, dei particolari, delle cose che appaiono a noi insignificanti’; e ce ne sono altri che, con l’ebreo Derrida, sentono su di sé la responsabilità di decostruire i testi per estrarne la molteplicità di significati”.

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(13 maggio 2014)