J-CIAK – Cannes, le donne di Israele
Sono donne intense, dolenti e spesso drammatiche, quelle che Israele quest’anno porta a Cannes. Scordiamoci le atmosfere intellettuali e un po’ rarefatte di Footnote, vincitore nel 2011, o i soldati di Beaufort con quelle meravigliose scene di luce e sole: quest’anno sulla Croisette spira un vento completamente diverso. A farla da padrone sono piccole storie – un padre e una figlia, una maestra e il suo alunno, due sorelle, una moglie che lotta per divorziare – ritratti sommessi di vite desolate e talvolta ai margini, che trovano voce e parole attraverso lo sguardo femminile.
La pattuglia israeliana, ultimamente sempre numerosa e combattiva, schiera all’edizione 2014 del festival ben cinque film: chiaro segno di una vitalità cinematografica che negli ultimi dieci anni sta registrando una fioritura impetuosa e un successo crescente di pubblico e critica.
Torna, nella sezione Un certain regard, la regista Keren Yedaya (nell’immagine), una delle beniamine di Cannes. Vincitrice nel 2004 della Caméra d’or con My Treasure-Or, presenta That Lovely Girl, racconto di una lunga relazione incestuosa tra padre e figlia che finiscono per diventare una coppia. Una storia non facile, a tratti scabrosa, in cui abuso e romanticismo s’intrecciano.
Yedaya non è nuova alle provocazioni e alle storie difficili e fin dagli esordi si è soffermata su un universo femminile dolente e ai limiti, una poetica figlia del suo impegno nel campo dei diritti delle donne. Ma questa volta va più in là. “In questo film chiedo di più al mio pubblico ed è ancora più sovversivo”, ammette. D’altronde, dice, “piango sempre perché il mondo è così crudele”. “Non posso separare quest’aspetto dalla mia vita personale ed è una decisione consapevole, quella di non vivere la mia bella vita con mio marito e due adorabili bambini scordando tutto il resto”.
Donna è anche la protagonista di The Kindergarten Teacher di Nadav Lapid, altro habitué di Cannes. Lapid due anni fa aveva vinto a Locarno il Premio speciale della giuria con Policeman-Hashoter, film molto discusso in Israele e già entrato nei circuiti internazionali (esce nelle sale statunitensi fra un mese), dedicato alla vicenda di Yaron, agente del controterrorismo israeliano che si scontra con un gruppo di giovani e appassionati estremisti che combattono per realizzare la loro società ideale. E il tocco politico non è assente nemmeno nel suo ultimo lavoro, che sarà presentato alla Settimana della critica, dedicato a una maestra d’asilo che lotta per proteggere dalla volgarità e dalla crudezza del mondo circostante un piccolo alunno in cui vede grandi doti poetiche.
Alla Semaine de la Critique è stato selezionato anche Self-made di Shira Geffen, vincitrice della Caméra d’or nel 2007 con Jellyfish-Meduzot, film girato insieme al marito, lo scrittore Etgar Keret. Self-made è la storia di due donne, una israeliana e l’altra palestinese, intrappolate nelle loro vite. Il loro destino s’inverte dopo uno scambio a un checkpoint, quando si trovano d’improvviso a vivere la vita e l’identità dell’altra. Il racconto, una sorta di Sliding doors in salsa mediorientale, ha quel tocco surreale che è il marchio di fabbrica di Shira Geffen. D’altronde, dichiara lei, “non mi piacciono i film da cui esci e hai capito tutto quello che il regista voleva dire”. “Preferisco lavori come quelli di David Lynch. Ho visto Mulholland Drive e ricordo di non aver capito ogni cosa, ma dopo mi sentivo come se stessi galleggiando. Non credo di voler dire tutto al pubblico, voglio piuttosto che la gente guardi alle cose in maniera diversa”.
Alla Quinzaine de réalisateurs ci sarà invece una donna alle prese con un problema assai concreto. In Ghet-The Trial of Viviane Amsalem, diretto da Ronit Elkabetz e scritto insieme al frallo Shlomi, la protagonista si trova a lottare per ottenere il divorzio che il marito da anni si ostina a negarle. Determinata a ritrovare la sua libertà, Viviane non si arrende mentre l’ambiguità del tribunale rabbinico disegna una vicenda in cui i suoi diritti finiscono in secondo piano. Ronit Elkabetz, volto tra i più magnetici del cinema israeliano (forse la ricordate in La banda di Eran Kolirin o Alila di Amos Gitai) paragonato da alcuni ad Anna Magnani, interpreta Viviane e chiude con questo film una trilogia composta da To take a wife (2004) e Shivah Seven Days(2007).
Si rimane in una drammatica dimensione famigliare anche in Next to Her debutto alla regia di Asaf Korman, uno dei montatori israeliani più richiesti. Il film, selezionato alla Quinzaine de réalisateurs, si concentra sul tormentato rapporto tra Rachel, 27 anni, e la sorella Gabby, 24, affetta da un disturbo psichico. Quando l’assistente sociale si rende conto che Gabby rimane sola in casa quando Rachel, che ne prende cura, va a lavorare, decide di affidare la ragazza a un centro diurno. E’ un cambiamento brusco nella vita di Rachel che, mentre la routine abituale va in frantumi e il rapporto con la sorella esce dalla consueta simbiosi, incontra un uomo con cui si imbarcherà in un singolare rapporto di amore e sacrificio.
Daniela Gross
(15 maggio 2014)