La violenza del verbo

vercelliIl gruppo terrorista Boko Haram continua a fare parlare di sé, anche se l’attenzione dell’Occidente è piuttosto contenuta, preferendo manifestarsi, con il clamore del poi, solo dinanzi ai fatti compiuti. Il rapimento di duecento ragazze nigeriane, ora trasformate in merce di scambio, segna, per la sua eclatanza, un ulteriore salto di qualità nella lunga guerra civile di cui l’organizzazione è di fatto responsabile già da diverso tempo. Nei giorni scorsi, in un video di poco meno di una ventina di minuti, che ha fatto il giro del mondo, alcune delle giovani prigioniere sono state mostrate in “abiti musulmani”  mentre recitavano versetti del Corano. L’aspetto significativo è che il rapimento sia avvenuto nella cittadina di Chibok, nello stato nigeriano del Borno, una delle trentasei entità federate, collocato nel nord-est del Paese, a maggioranza musulmana ma con una discreta componente cristiana. La popolazione è composta di circa due milioni e mezzo di abitanti. Al di là della reazione della comunità mondiale, che hanno dato vita al programma «Bringbakcourgirls», per il loro rilascio, rimane il fatto che il drammatico evento si inserisce in una successione di violenze settarie di cui i Boko Haram sono attori tra i principali, ma non unici. Gli scontri interreligiosi, infatti, datano ad almeno il 1999, due anni prima che al-Qaeda occupasse la scena mondiale con gli attacchi contro gli Stati Uniti. L’introduzione della Sharia come legge in diversi Stati nigeriani del nord della Federazione, una dozzina per l’esattezza, oltre a mettere in discussione la sua tradizione secolare di diritto pubblico ha innescato una dialettica fortemente conflittuale tra le componenti musulmane e quella cristiana. Va detto che il Paese da tempo era divenuto terreno per scorribande di predicatori di varia origine ed osservanza, tra i quali non pochi evangelici, la cui azione ha fomentato tensioni in parte preesistenti, sommandosi anche alle suddivisioni tribali e linguistiche che sono sopravvissute all’unificazione federale del 1961. Il rapporto tra i due grandi gruppi religiosi, demograficamente, è peraltro vicino alla parità. Se la popolazione nel suo complesso ammonta a circa 170 milioni di individui (con un reddito pro-capite tra i 1.600 e i 2.800 dollari), mentre gli islamici costituiscono il 50,5% della società i cristiani sono il 48,2%. Le proiezioni di crescita si attestano al 2,55 % annuo, con un trend continuativo che se fa della Nigeria già da adesso la nazione più popolosa del Continente, induce a ritenere che alla fine del secolo potrà contare su un insediamento umano più che doppio rispetto a quello attuale. Alcune stime delle Nazioni Unite indicano addirittura in mezzo miliardo la cifra sulla quale potrebbe assestarsi entro il 2100. Non di meno la Nigeria è una piattaforma essenziale negli equilibri geopolitici dell’Africa centrale, laddove maggiori sono gli investimenti operati dalle potenze straniere, a partire da quelle del sud-est asiatico. La presenza di petrolio e di giacimenti di gas è fatto risaputo. Il suo trend di crescita economica è peraltro ragguardevole, benché le diseguaglianze sociali siano fortissime. Segno, quest’ultimo, che alla creazione di ricchezza non si accompagna la sua distribuzione. È quindi in tale quadro che le attività del gruppo Boko Haram si inseriscono. Il nome indica un mix linguistico tra l’idioma hausa, dove il termine Boko rinvia a qualcosa di inautentico, falso, manipolato, e l’arabo Haram, che invece rimanda figurativamente al divieto, al non permesso, al proibito. Concettualmente il nome indica qualcosa che può essere inteso come «l’influenza culturale ed educativa occidentale è proibita poiché falsa». Di fatto la denominazione intende indicare la volontà di esercitare una strenua opposizione ad ogni forma di cultura che non sia quella musulmana, quest’ultima declinata secondo la rigida e paranoica precettistica del gruppo. Il nome per esteso, in arabo, infatti, è traducibile come «Congregazione del popolo della tradizione per il proselitismo religioso e la guerra santa». L’origine del gruppo è relativamente recente, risalendo al 2002, in quanto costola e filiazione dell’Organizzazione dei giovani musulmani di Mallam Lawal A Maiduguri, la capitale del Borno, Mohamed Yusuf, ucciso poi nel 2009 dalle forze di sicurezza nigeriane, ne fu allora l’ispiratore e quindi il capo carismatico. Peraltro, le voci correnti affermano che egli stesso, quand’era ancora in vita, non sia stato per nulla estraneo ad uno stile di vita affluente, benché il suo verbo fosse basato su un’ostilità preconcetta all’“occidentalizzazione”. L’osservanza islamica del gruppo è quella sunnita, nella versione salafita. La sua estensione va tuttavia ben presto radicandosi al di là dei confini della Nigeria settentrionale, raggiungendo nel volgere di poco tempo il Ciad, il Niger meridionale, il Cameron settentrionale. Si tratta quindi di un vero e proprio gruppo operativo d’area interregionale, la cui forza sta nel non conoscere confini o nel sapersi muovere tra di essi con grande abilità. L’obiettivo dichiarato, in un primo tempo, era l’islamizzazione sistematica dello Stato del Borno. I Boko Haram si sono articolati – quindi – creando un’intelaiatura di strutture religiose e assistenziali, com’è di prassi per quei gruppi fondamentalisti musulmani che cerchino il consenso, o comunque un qualche seguito, nella collettività. Con il 2004 il loro centro operativo viene collocato a Kanamma, nello Stato di Yobe, vicino al Niger. Dopo di che, nel volgere di poco tempo, il fuoco dell’azione si è fatto più ampio, spostandosi di target ed avendo ad oggetto lo stesso governo federale. Gli era e gli rimane propizio il diffuso disagio sociale, che si manifesta un po’ ovunque,. La Nigeria, infatti, è da molti studiosi indicato come un regime di «class warfare», dove le divisioni di ceto e di classe sono cristallizzate. La contrapposizione sociale si traduce spesso in una lotta interetnica e pseudoreligiosa. I discorsi che vengono fatti dagli islamisti coniugano critica alle autorità, reputate corrotte ed inette, proposte di radicale trasformazione sociale insieme ad inviti alla ribellione. Ancora una volta la saldatura tra povertà, proselitismo e promesse di una qualche redenzione diventa così il migliore viatico per il ricorso alla violenza. Una delle prerogative del gruppo è l’usare l’arabo come lingua di riferimento, fatto che gli permette non solo di caratterizzarsi da un punto di vista ideologico come “entità pura”, che ricorre alla lingua del Profeta, ma anche di sopravanzare le divisioni linguistiche regionali. Nella prima metà del decennio trascorso inizia anche il reclutamento di miliziani, che presto sarebbero stati usati nella lotta armata. L’ossatura è costituita da combattenti musulmani provenienti dal Ciad e dal Niger, veri e propri pendolari della Jihad in Africa centrale. Di fatto costoro costituiscono la prima, autentica struttura organizzativa, sulla base della quale il gruppo avrebbe poi avviato il proselitismo armato anche tra i nigeriani. Del pari a quanto è avvenuto in Afghanistan e in Irak con l’uso delle milizie del radicalismo islamico che si erano fatte le ossa nel conflitto bosniaco, durante gli anni Novanta. Non di meno, è altamente probabile che una parte dei primi finanziamenti siano arrivati dalle stesse autorità periferiche degli Stati di Kano e Bauchi, anch’essi parte della Federazione. Dalla violenza della predicazione i Boko Haram passano quindi, nel corso di breve tempo, alla predicazione e alla pratica della violenza. È un transito non immediato ma, per più aspetti, ovvio, date le premesse. Si chiede a viva voce la costituzione di uno Stato basato integralmente sulla Sharia, l’espulsione di tutti gli elementi occidentali, la conversione forzata delle popolazioni cristiane, le rescissione dei rapporti con il «corrotto mondo occidentale», di cui le autorità di Abuja sarebbero diretta espressione. Data al 2009, quindi ad anni recenti, il definitivo passaggio al terrorismo. Si tratta, in tutta probabilità, di un’esigenza dettata dalla necessità di imporsi nel variegato panorama di organizzazioni islamiste, in concorrenza tra di loro e alla ricerca di spazio di condizionamento e potere. Già da tempo gli analisti e gli investigatori andavano peraltro denunciando la militarizzazione di Boko Haram. Quando le autorità federali decidono di passare alle vie di fatto esplode immediatamente lo scontro. Il gruppo rivela da subito un’elevata capacità operativa. I suoi obiettivi sono le autorità federali e statali, i membri del clero sunnita ritenuti compromessi con il potere centrale o ad esso acquiescenti, le comunità cristiane, alcune moschee, le chiese, gli uffici di polizia ma anche i turisti occidentali. Di fatto, tra il 2009 e l’anno in corso l’escalation si fa inarrestabile, fino al rapimento, il 14 aprile, di 234 studentesse. Se alla formazione jihadista sono imputati come certi almeno novecento omicidi, si calcola che essa sia coinvolta, direttamente o indirettamente, in una decina di migliaia di assassini che, dal 2002 ad oggi hanno insanguinato l’intera regione. Prerogativa di Boko Haram è quella di fare ricorso ai soldati bambini, la cui età media varia tra i dieci e i quattordici anni. Non di meno, i rapporti con le popolazioni musulmane sono spesso molto difficili, sia a causa dell’intransigenza ideologica dei suoi membri, come del ricorso sistematico alla forza e alla violenza, sia per il conflitto che essi intrattengono con le autorità religiose ufficiali. Più volte gli esponenti dell’Islam nigeriano si sono espressi apertamente contro Boko Haram, denunciandone non solo il carattere terroristico ma anche la natura eretica del suo credo. Così anche le organizzazioni musulmane internazionali. Il gruppo pratica l’estorsione ai danni dei privati ma anche delle autorità locali, il rapimento e la vendita in condizioni di schiavitù di non musulmani ma anche di musulmani, il concubinaggio, l’uso di reclutati, non appartenenti all’etnia Kanouri (presente negli Stati in cui esso ha le sue sedi operative), per attentati suicidi. L’origine dei fondi ai quali si approvvigiona è in parte ancora incerta. Se ai primordi dell’organizzazione la dotazione iniziale fu conferita dagli stessi aderenti, con il trascorrere del tempo le risorse economiche e monetarie sono pervenute da altrui gruppi del newtwork islamista africano e internazionale, così come dall’Arabia Saudita e da privati presenti nel Regno Unito. In tutta probabilità l’affiliazione ad «al-Qaeda nel Maghreb islamico», la struttura costituitasi nel 2005 e all’origine della guerra civile in Mali, è un fatto compiuto, ancorché non comprovato con assoluta certezza, sia per un calcolo di ordine logistico che finanziario. Rimane il fatto che la radicale pervasività del gruppo terroristico è un dato che peserà sul futuro della Nigeria e, con essa, di tutta la regione centro-africana.
 
Claudio Vercelli

(18 maggio 2014)