Storie – Il lavoro della Memoria
Sorte pochi mesi dopo il rimpatrio dai Lager nazisti, le associazioni degli ex deportati politici e razziali diedero la possibilità a tanti di loro di tornare alla vita, anche attraverso la condivisione fisica di quell’esperienza. Offrirono, infatti, gli spazi “sociali” entro i quali la loro memoria si sarebbe definita, tra il dolore della parola e il dovere della testimonianza. Ma a differenza dell’Anpi, dell’Anei e dell’Anppia, che nacquero nell’immediato dopoguerra, l’associazione degli ex deportati si costituì a livello nazionale solo a fine gennaio del 1957, con un congresso fondativo a Verona. A ricostruirne le vicende è stato Bruno Maida, nel volume appena uscito “Il mestiere della memoria. Storia dell’Associazione nazionale ex deportati politici, 1945-2010” (Ombre corte, pp. 256).
All’atto della sua fondazione l’Aned ebbe come mission la memoria della deportazione politica. Lo statuto votato al congresso di Verona stabiliva la denominazione di Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti (ANDPCN) e nelle disposizioni generali si leggeva che lo stemma sarebbe stato un triangolo rosso con al centro la scritta “IT” in nero. Una dizione dalla quale, come sottolinea Maida, “emergeva la duplicità con la quale l’Aned – come da subito sarebbe stata chiamata – si muoveva nel campo dei reduci, rappresentando nei fatti tutti ma rivendicando la specificità politica del suo blocco di riferimento e del contenuto politico-ideale della Resistenza. D’altra parte, non va dimenticato come negli anni Cinquanta faticasse la costruzione di una memoria specificatamente ebraica”.
Ma già l’anno dopo, nel 1958, sotto la presidenza di Piero Caleffi, socialista, autore del libro “Si fa presto a dire fame” e all’epoca senatore della Repubblica, anche la persecuzione ebraica e la Shoah diventarono centrali nell’azione dell’Aned. Caleffi, infatti, si soffermò nella sua relazione al congresso sul genocidio ebraico rilevando come fosse il punto di arrivo del sistema e dell’ideologia nazista.
Nei decenni successivi, lottando tenacemente contro la diffusa tentazione del nostro Paese a rimuovere il passato recente, i dirigenti e gli iscritti all’Aned diedero un notevole contributo a ricostruire la storia della deportazione in Italia, anche attraverso l’utilizzo della memoria orale, riflettendo sulla funzione pedagogica della testimonianza intergenerazionale e sulla capacità di realizzare una memoria per il futuro la cui efficacia potesse essere misurata non solo nella sua dimensione pubblica e immediata, ma nella possibilità di stratificarsi e di sedimentarsi nella società.
Fondamentale ad esempio è stato il ruolo svolto dall’Aned e dagli ex deportati nel mondo della scuola, soprattutto dopo l’istituzione nel 2000 del Giorno della Memoria.
Quella narrata e ricostruita per la prima volta da Maida, è la storia dell’associazione di quelli che oggi siamo abituati a chiamare i Testimoni, che purtroppo per motivi anagrafici sono sempre di meno. Donne e uomini che invece, come Primo Levi scriveva di se stesso, erano (e sono) soprattutto “persone normali di buona memoria”. Quella Memoria che abbiamo il dovere di raccogliere e di coltivare, difendere, far conoscere.
Mario Avagliano twitter @MarioAvagliano
(20 maggio 2014)