J-CIAK – IL FESTIVAL DI CANNES Le matite della libertà
“Questo film vi trasporterà, commuoverà, appassionerà, sorprenderà e vi aprirà una finestra su un mondo di cui non sospettate l’esistenza: il mondo di dodici disegnatori impegnati, talvolta in pericolo, spesso arrabbiati. Dodici disegnatori e disegnatrici che a prima vista non hanno nulla in comune ma sono uniti in un’unica battaglia: quella per la libertà d’espressione. Libertà che non è mai garantita e sempre va riconquistata, nelle democrazie come nelle dittature”.
A parlare è uno dei protagonisti del film in questione, Michel Kichka, uno dei più importanti cartoonist israeliani, che lunedì a Cannes, sotto una pioggia di flash, ha percorso i fatidici 24 scalini del Palais des Festivals. Insieme a lui, a presentare fuori concorso “Caricaturistes, fantassins de la democratie”, la regista Stéphanie Valloatto, Radu Mihaileanu (il regista di Train de vie, Vai e vivrai e L’orchestra) che ha collaborato alla sceneggiatura e prodotto la pellicola, Plantu, Willis, Rayma, Baha Boukhari, Boligan e Danziger. Un red carpet anomalo, per una pattuglia di vignettisti arrivati da tutto il mondo a testimoniare il loro quotidiano impegno, divenuto oggetto di un film che – dal Venezuela alla Cina, dal Medio Oriente alla Danimarca, dalla Russia alla Costa d’Avorio – ne segue le tracce di vita e di lavoro, fra censure, autocensure e repressione.
Sembra quasi scontato che “non ci sia disegno che non ferisca qualcuno”, come nota nel film Plantu, disegnatore di Le Monde. Una vignetta riuscita distilla infatti in pochi tratti il senso di uno stato d’animo o di una crisi politica. Meno scontato, però, che in molti paesi le reazioni possano spingersi a un livello di violenza e repressione da lasciare senza fiato.
Non a caso è stato proprio questo uno dei primi nodi affrontati dal film, ben prima di iniziare a girare. “Abbiamo usato grandi precauzioni fin nel contattare i vignettisti, per non metterli in pericolo – racconta Stéphanie Vallaotto – Per questo abbiamo utilizzato molto Skype al posto del telefono, più rischioso, o delle email, che possono essere aperte. Abbiamo chiesto ai disegnatori se erano disponibili a esporsi e mostrare il loro volto in un film che sarà visto nei cinema di tutto il mondo: i disegni che pubblicano portano la loro firma, ma non fanno vedere chi sono”. “Tutti però – continua – hanno risposto che per loro era più importante comunicare ed essere visti e che al contrario questo li avrebbe protetti. Più se ne parla, questa l’idea comune, meno si rischia”.
Sullo schermo ecco dunque Rayma, disegnatrice venezuelana costretta a vivere sotto vigilanza costante e costanti minacce; il danese Kurt Westergaard, nel 2005 autore della più controversa delle famose vignette su Maometto e perciò assalito con un’ascia da un fanatico; il russo Zlatkovsky, tacitato dal Cremlino. E poi il cinese Pi San, la tunisina Nadia Khiari, l’americano Danziger, instancabile attivista contro le guerre; l’ivoriano Zohoré e Glez, disegnatore francese stabilito in Burkina Faso.
Ecco infine dal Medio Oriente il siriano Ali Ferzat, per farlo tacere gli sgherri di Assad gli hanno ferocemente fratturato le mani. Ed ecco il palestinese Baha Boukhari, caricaturista politico del quotidiano palestinese al-Ayam di Ramallah, nel 2008condannato a sei mesi di carcere e a una multa da un tribunale di Gaza per una vignetta ironica su Hamas, e Michel Kichka, docente alla Bezalel Academy di Gerusalemme e collaboratore di numerose testate francesi, che da poco ha pubblicato in Italia La seconda generazione (Rizzoli Lizard, 112 pp.).
Insieme a Plantu, Kichka è tra i fondatori di Cartooning for Peace, rete internazionale di disegnatori nata nel 2006, a margine del dibattito sviluppatosi dopo la pubblicazione delle vignette su Maometto che un anno prima aveva scatenato una violentissima serie di reazioni nel mondo islamico. Un’esperienza che ha rischiato di ripetersi, solo un paio d’anni fa, dopo la pubblicazione su youtube del trailer del film The Innocence of the Muslims (poi rivelatosi una montatura) e di un’ulteriore serie di vignette ironiche sul Profeta sulla rivista satirica francese Charlie Hebdo.
Non fa differenza che si parli arabo, francese o inglese, ci ricorda nel film Plantu: per ognuno di noi la prima lingua è l’immagine. Nasce da qui la forza dirompente delle vignette, capaci di mandare in corto circuito un sistema politico o economico con una caricatura e una battuta. Le uniche armi a disposizione dei vignettisti sono, come dice Kichka, “le loro convinzioni, la loro matita per difendersi e il loro cuore per disegnare”, armi potentissime ma spuntate contro i rigurgiti della violenza.
“Caricaturistes, fantassins de la democratie” ci rammenta come la libertà d’espressione e di stampa siano conquiste preziose, da tutelare e proteggere. E ci ricorda quanto l’humour sia un’arma micidiale. In qualche modo non stupisce che il film nasca sotto l’egida di Radu Mihaileanu. Ricordate Train de vie? In quella storia tutta giocata sul filo dell’ironia, il crocevia tra la vita e la morte si svela in una sola folgorante battuta. Quando alla fine del film Shlomo scuote il capo e ammicca: “Ecco la vera storia del mio shtetl. Beh … quasi vera”.
Daniela Gross
(22 maggio 2014)