Inutile, quindi educativa
A volte, soprattutto in questo periodo dell’anno, mi capita di pensare che insegnare il latino sia diventato semplicemente impossibile. O, meglio, che si possa insegnarlo, ma sia impossibile verificare con un minimo di correttezza e trasparenza quanto gli allievi hanno appreso. Nascondere un telefonino in una manica o sotto una sciarpa è fin troppo facile (con il greco almeno c’è il problema dell’alfabeto diverso) e i genitori sono sempre pronti a difendere i propri figli quando sono sospettati di aver copiato. Questo ovviamente accade in tutte le materie, ma nel caso del latino è particolarmente evidente, forse perché né gli allievi né i genitori vedono un’utilità pratica nella disciplina e quindi sembrano dare per scontato che qualunque comportamento scorretto sia giustificato. Da qui il senso di sconforto che talvolta ci prende.
Eppure l’infinita varietà di possibili scorrettezze, da internet alle copiature tradizionali, offre lo spunto per numerose discussioni in classe sulla giustizia e sull’ingiustizia, sul danno che può derivare alla maggioranza dai comportamenti di una minoranza, sul dovere di assumersi le proprie responsabilità, ecc. Per di più il fatto che la materia appaia astratta e priva di utilità pratica fa sì che nessun allievo o genitore si scandalizzi se una volta ogni tanto si passa un’ora a discutere di questi temi. Ne emergono interessanti riflessioni che poi potranno essere applicate in altri contesti. In un certo senso è come per le dispute talmudiche, dove una discussione sulla purità di un forno può provocare addirittura l’intervento di una voce divina e un’infinità di riflessioni di conseguenza. E in questa luce il nostro lavoro appare meno inutile, anzi, educativo proprio perché inutile.
Anna Segre, insegnante
(23 maggio 2014)