La politica della demenza digitale
Come per tutte le altre demenze, non esiste o non è possibile stabilire un limite per la demenza digitale. Nessuno sa dove inizi, dove finisca, o dove potrebbe portare. Quel che però è certo, è che l’ultimo annuncio di Beppe Grillo di istituire dei “processi popolari in rete”- per “giudicare le colpe e l’onestà” dei cosiddetti “distruttori del paese”, ovvero “giornalisti, imprenditori e politici” – costituisce sicuramente uno dei parossismi di questa grave malattia del nostro secolo, oltre che una delle ormai innumerevoli farneticazioni del leader pentastellato e dei suoi seguaci. A niente è servito il nostro supposto livello di civilizzazione, affinché la “rete” possa ritrasformarsi in una pubblica piazza dove nuovi tribunali dell’inquisizione o un “popolo illuminato”, degno interprete di una neo-giacobina “volontà generale”, avranno la possibilità di emettere verdetti (o almeno il “diritto a uno sputo” tradotto: offese e ingiurie) verso nuovi eretici, streghe e oppositori; in modo da sfogare una rabbia lungamente repressa e soddisfare l’appetito di un popolo esasperato, dando finalmente dei nomi a dei nemici prima invisibili e astratti. Una tradizione del resto, perfettamente ereditiera e in sintonia con le liste di proscrizione, con la cosiddetta macchina del fango, con il cyberbullismo dei social-networks, o con i tele-processi degli ultimi anni, qualcosa che neanche Kafka, Dürrenmatt o De André potevano ancora immaginare nei loro testi. Qualcuno potrebbe certo asserire che in fondo si tratterebbe soltanto di liste o processi fittizi, svolti sul web, dunque lontano dalla vita reale, ma che influenza ha oggigiorno il web sulle vite dei singoli? O magari qualcun altro sosterrà che compariranno soltanto i nomi di personaggi effettivamente indifendibili come mafiosi, imprenditori disonesti o politici corrotti così da infrangere finalmente un silenzio omertoso, ma chi controllerà che tra questi non spunterà anche il giornalista scomodo, un qualunque avversario o il consigliere comunale antipatico? E infine, chi giudicherà l’accusa? Chi difenderà i colpevoli? Come verrà stabilita la colpevolezza di ognuno? Forse per rispondere all’ultima domanda, vale ciò che ha scritto Milan Kundera a proposito del Processo di Franz Kafka: “ogni uomo è colpevolizzabile. La colpevolizzabilità fa parte della condizione umana. La colpevolizzabilità è sempre fra noi, sia quando la nostra bontà teme di ferire i deboli, sia quando la nostra viltà ha paura di offendere quelli più forti di noi”. E così che anche Kafka torna (come sempre) nuovamente attuale…
Francesco Moises Bassano, studente
(23 maggio 2014)