Qui Trieste – Il Laboratorio della Memoria. Minoranze, ferite aperte, diritti
Il pubblico che ha seguito la prima sessione del seminario “La Memoria dei Traumi, il XX secolo” in corso in questi giorni al Laboratorio della Memoria di Trieste, ha potuto apprezzare come la scelta di affrontare il tema in maniere anche anche molto diverse fra loro si sia mostrata portatrice di grande ricchezza.
I contesti disciplinari sono stati i più diversi, e gli interventi dei relatori, moderati dallo storico dell’Università di Trieste Giacomo Todeschini hanno concretizzato l’augurio di coloro che hanno voluto la nascita del laboratorio, riaffermando la centralità di Trieste non solo come capitale e luogo di incontro di tutte le minoranze, ma anche come spazio di riflessione e conoscenza delle sofferenze, e dei diritti delle minoranze. Bruna Bianchi dell’Università Ca’ Foscari di Venezia è partita dalla presentazione del volume “Storia e memoria, raccontarsi e raccontare il passato” – che raccoglie gli atti del convegno svoltosi a maggio dello scorso anno – ragionando su come spesso nei vari saggi che vi sono raccolti ci si trovi in presenza di una opposizione tra Storia e Memoria, che rende molto difficile l’incontro, e l’integrazione fra i concetti. La memoria può essere vista come sorella minore della memoria, che è espressione di un punto di vista soggettivo, mentre la storia deve coprire il suo ruolo di artefice di una narrazione universale e oggettiva.
L’incrocio fra gli interventi di chi lavora con l’analisi e la raccolta delle testimonianze sia scritte che orali e l’intervento di Alessandro Treves, neuroscienziato che ha portato all’attenzione dei presenti i meccanismi di formazione delle memorie autobiografiche nell’ippocampo, ha portato alle fine delle relazioni a numerose domande e a un confronto diretto fra i relatori. Marta Verginella dell’Università di Lubiana trattando delle storie e delle esperienze dei triestini spaesati è arrivata ad analizzare la situazione di coloro che appartengono alla seconda generazione. L’essere spaesati ovunque, essere comunque sempre altri, stranieri, diversi è un fenomeno che viene vissuto in maniere differenti a seconda anche del genere di appartenenza, che porta a una ricostruzione diversa.
La rappresentazione lettararia dell’esodo da parte di scrittori professionisti – tema dell’intervento di Cristina Benussi, dell’Università di Trieste – è avvenuta in un periodo successivo alla narrazione della grande epopea storica della Resistenza e intrecciandosi inevitabilmente con le altre narrazioni, composte di lettere, diari, e ricordi. Con però alcune differenze forti: per esempio nella letteratura resistenziale le seconde generazioni non parlano, chi non ha fatto la Resistenza non racconta. Mentre invece i figli dell’esodo continuano a parlare, con una rappresentazione onesta che non vuole tacere i torti. E invece i romanzieri che l’esodo non hanno vissuto raccontano dal punto di vista del gioco politico, senza il coinvolgimento emotivo dei propri ricordi. I combattenti della Grande Guerra, protagonisti delle ricerche di Bruna Bianchi, usano la scrittura per dare un ordine e un senso ai ricordi, per non dimenticare. In questo caso le fonti che restituiscono il senso della vita di guerra sono principalmente composte dai diari, e dalle lettere scritte e ricevute, l’evento più atteso dai combattenti. La prima giornata di lavori è stata chiusa dalla psicoanalista Silvia Amati, che nel corso della sua carriera ha prestato particolare attenzione alle tematiche della trans-soggettività e della violenza sociale, elaborando la sua particolare esperienza clinica con pazienti reduci dalle persecuzioni politiche dei regimi dittatoriali. La capacità umana di adattarsi a qualsiasi cosa, è sia un formidabile strumento al servizio delle capacità di sopravvivere in situazioni estreme, ma è collegato a diversi problemi etici e morali. Implica l’essere manipolabili, adattabili, e il bisogno assoluto di avere un legame con altri esseri umani rischia di diventare un punto debole. Necessità di contesto e appartenenza sono fortissime, così come l’istinto di sopravvivenza. “È forse giusto ricordare – ha sottolineato la dottoressa Amati – che è vero che nell’essere umano è fortissima la pulsione alla vita e la capacità di adattarsi per sopravvivere, ma ancora più potente è la pulsione a salvare gli altri”.
Ada Treves twitter @atrevesmoked
(23 maggio 2014)