Il nuovo scenario politico – L’odio che minaccia l’Europa

Le elezioni europee di questo 25 maggio si annunciano molto diverse dalle precedenti, anzitutto perché si potranno misurare le conseguenze della peggiore crisi economica dal ’29, anno da cui l’Europa precipitò nel più tragico scenario della sua storia. Sarà, dunque, anche un modo per riflettere sullo stato della coscienza collettiva europea a settant’anni dal secondo conflitto mondiale. Vediamo come ci si presenta il quadro elettorale. Il dato più appariscente, più volte discusso su queste pagine, è la crescita di una destra nazionalista, che non si rifà ai valori del costituzionalismo europeo. Il folto gruppo è capitanato dal Front National di Marine Le Pen, diretto discendente dei collaborazionisti di Vichy, che si appresta a diventare il primo partito di Francia. A ruota segue l’esperienza di governo dell’ultranazionalista ungherese Viktor Orban (appena riconfermato), che si ispira esplicitamente a un fantomatico modello euroasiatico, apertamente distante dal modello democratico occidentale. Innumerevoli sono le dichiarazioni di Orban in proposito. Ci sono, poi, il Partito delle Libertà dell’olandese Geert Wilders, la FPÖ austriaca di Strache, i Veri Finlandesi di Timo Soini, la Lega Nord di Matteo Salvini, per molta parte (a seconda dei giorni e delle convenienze propagandistiche) il M5S di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. All’estremo di questo estremismo, i partiti neonazisti: lo Jobbik ungherese e l’Alba Dorata greca. Le percentuali di consenso di questa compagine sono incredibili se viste con gli occhi solo di pochi anni fa: tra il 20 ed il 30% nei rispettivi Paesi. Gli argomenti di questi partiti sono comuni: messa in discussione dell’attuale UE, dell’Euro, rivendicazione dell’orgoglio nazionale, critica al processo di globalizzazione (riedizione dell’antico odio verso l’internazionalismo), islamofobia.

Anche a sinistra si registrano novità. La più significativa è l’affermazione di Alexis Tsipras in Grecia, il Paese più colpito dalla crisi, dunque luogo di osservazione privilegiato. Il partito del giovane leader greco è passato, in questi anni di declino economico, dal 3% al 30%, soppiantando di fatto la sinistra governativa del Pasok. Per le elezioni europee, il Partito di Tsipras si è proposto come lista traversale a tutto il continente, raccogliendo il malcontento diffuso per un centro-sinistra percepito come troppo accondiscendente verso l’attuale progetto europeo. Quali sono le posizioni di questa Lista? Nei fatti, non così distanti dal folto gruppo di destra: critica all’Europa germanocentrica, critica all’Euro (ricordate la minaccia di Tsipras del 2009?), rivendicazione di una sovranità nazionale contro l’ingerenza della Troika. E’ verissimo che le ispirazioni di fondo di destra e sinistra sono assai distanti, per certi versi diametralmente opposte, ma le conclusioni appaiono sinistramente simili, con la sola differenza di una maggiore dose di ambiguità nello schieramento che si rifà a Tsipras. Cosa avverrebbe se l’Europa rifiutasse la revisione degli attuali trattati richiesta da questa nuova sinistra europea? Insomma, le due novità della politica europea sono opposte, ma convergono su ricette simili, e noi sappiamo bene che quando acque superiori e inferiori si toccano, è il mabbul (diluvio).

Ci sarebbe da argomentare assai riguardo il modo in cui avvengono questi slittamenti culturali, sui modi in cui idee considerate fino a poco fa tabù riescano a insinuarsi in un quadro sociale e culturale estraneo, sulle strategie da adottare per respingere questi attacchi. Per ragioni di spazio e a motivo del giornale su cui scriviamo, optiamo per una “conclusione ebraica”, essendo anche gli ebrei coloro che maggiormente conservano la memoria degli anni ’30 e ’40. Spesso il mondo ebraico ha sostenuto, in funzione pro-Israele, le pulsioni islamofobe cavalcate dai partiti più conservatori. È una grave miopia. Così facendo si aprirà quella stessa deriva xenofoba che si rivolgerà inevitabilmente verso l’ebreo, lo straniero per definizione. I pronunciamenti di Marine Le Pen riguardo la carne di maiale nelle mense scolastiche francesi si inquadrano, in questo senso, in una cornice europea dove sovrapposizioni fra circoncisione islamica ed ebraica, kasherut e carne halal sono all’ordine del giorno. Non è cavalcando l’islamofobia europea che si difende Israele. Lo Stato ebraico è la principale vittima di una gigantesca guerra civile interna al mondo musulmano, che va avanti da almeno un secolo, spesso alimentata dalle fallimentari strategie occidentali. Uno scenario che non ha nulla a che fare con il quadro europeo, dove, negli ultimi decenni, si sono riversate masse di derelitti in fuga da fame e guerre, che, oggi, il fallimento delle politiche di integrazione in alcune aree del Continente rischia di spingere verso gli interessi del fondamentalismo terrorista. Già abbiamo visto esempi in questo senso. Al Liceo, avevo un professore di filosofia assai eccentrico, un vecchio prete scomunicato. Erano gli anni novanta e ci raccontava come l’immigrazione islamica fosse parte di una strategia che mirava a scatenare una guerra capace di abbattere il nemico dall’interno e come, con gli immigrati, entravano in Europa anche le armi. Mai avrei pensato che la tesi di un anziano prete scomunicato, che ancora praticava l’esorcismo, avrebbe penetrato la coscienza ebraica europea, quella che ha prodotto i Freud e gli Einstein. È bene uscire subito da questa ambiguità prima di finire come gli ebrei fascisti delusi da Mussolini; negli argomenti di Le Pen, Wilders, Strache il futuro è già scritto. E non c’è islamofobia che tenga.

Davide Assael

(25 maggio 2014)