Qui Torino, uniti contro l’odio
A tre giorni dall’attentato avvenuto al museo ebraico di Bruxelles costato la vita a quattro persone, la Comunità ebraica di Torino si è riunita in Piazzetta Primo Levi per riflettere sugli ultimi avvenimenti e lo ha fatto con una manifestazione pubblica davanti al Tempio con interventi di Beppe Segre, presidente della Comunità, del vicepresidente Emanuel Segre Amar e del professor Ugo Volli.
L’atmosfera è densa, tutto sembra immobile. Siamo di fronte al Tempio: a destra abbiamo la camionetta con i militari, a sinistra, al fondo della via, ci sono i poliziotti. Noi siamo nel mezzo, sembrerebbe più un abbraccio che una morsa. Normalmente non ci è permesso di sostare per più di qualche secondo nella Piazza (“per motivi di sicurezza”, così ci hanno insegnato fin da quando eravamo piccoli); tutti i membri della Comunità lo sanno, ormai è una regola sedimentata nelle nostre abitudini, anche se ogni volta, alla fine di una cerimonia o preghiera o ricorrenza, c’è sempre qualcuno che ha la tentazione di fermarsi a parlare una volta varcata la cancellata, scordandosi anche solo per pochi secondi, che bisogna sempre stare sul chi va là.
Tutto questo è normale (o forse norma) per un ebreo, torinese e non, italiano e non. Tutti i presenti si accorgono dell’anomalia di sostare davanti alla sinagoga, ma è proprio questo a dare un valore aggiunto, una eco non di sfida, ma di speranza alla manifestazione di ieri pomeriggio. Ugo Volli durante il suo intervento lo sottolinea: “Siamo all’aperto, non abbiamo paura. Il terrorismo non deve e non può spaventarci, altrimenti facciamo il suo gioco, subiamo il suo ricatto”.
Numerose le domande che sono state sollevate: fino a che punto è giusto vivere in un contesto di apprensione e ansia nel visitare un museo, nell’uscire da una sinagoga o semplicemente perché portiamo la kippah? Fino a quando dovremmo toglierci simboli che ci appartengono per evitare che il criminale o il teppista ci importuni? In Israele ci sentiremmo più sicuri?”
Volli ci invita a riflettere sull’identità delle quattro persone che hanno perso la vita: due israeliani, un francese e un belga. “Il terrorismo attacca un luogo ebraico, ma colpisce ebrei e non ebrei”. L’antisemitismo riguarda tutti, nessuno è esentato.
Ad alcuni la Shoah sembra non aver insegnato nulla: i principi di libertà, eguaglianza e fratellanza rischiano così, a volte, di rimanere solo sulla carta.
Alice Fubini
(28 maggio 2014)