Festival Economia di Trento – L’Euro, l’Europa e le banche

Zingales Trento 2014La situazione del sistema bancario, il futuro dell’Europa e della sua moneta unica, l’Euro, uno sguardo verso oriente, alla Russia di Vladimir Putin. Tanti i temi al centro della terza giornata del Festival Economia di Trento che si è aperta ieri con un ospite d’eccezione, il primo ministro italiano Matteo Renzi. A seguire, tra i grandi nomi presenti in questa nona edizione della rassegna, vice ministro dell’Economia e delle Finanze Enrico Morando, il presidente di Banca Monte dei Paschi di Siena Alessandro Profumo e l’economista Luigi Zingales. Proprio Zingales, che Foreign Policy inserisce tra i cento pensatori più influenti del mondo, è il protagonista della grande intervista, a firma di Rossella Tercatin, del numero di giugno di Pagine Ebraiche, in distribuzione al Festival con il dossier Mercati e Valori. L’economista – il cui pensiero economico è molto apprezzato dal premier israeliano Benjamin Netanyahu – oltre a discutere sul ruolo delle banche e delle fondazioni bancarie in Italia e in Europa con il viceministro Morando e con Profumo, ha presentato a Trento il suo ultimo libro Europa o No (Rizzoli). “Il mio è un libro senza eroi – ha affermato Zingales – scritto anche alla luce della mia esperienza da economista che fa il pendolare tra gli Stati Uniti e l’Italia e può vedere il mondo”. “Dicono che qualche volta nel libro strizzo l’occhio ai no-euro – spiega Zingales – La verità è un’altra, ecco un aneddoto per spiegarlo: l’ultimo zar di Russia aveva un figlio emofiliaco, e l’unico che riusciva a farlo stare un po’ meglio era un ciarlatano, un certo Rasputin; costui odiava tutte le medicine e non voleva che al figlio delle zar venisse data l’aspirina, un farmaco (oggi lo sappiamo) con proprietà anti-coagulanti. Anche i ciarlatani come Rasputin dunque possono avere un’idea giusta. Oggi non c’è alcun dibattito sui costi e i benefici della moneta unica, e questo rafforza i ciarlatani, gli unici a occuparsi della questione”. Secondo Zingales è necessaria “una qualche forma di unione fiscale, se si vuole tenere in piedi l’euro, altrimenti si prenda atto che manca questa volontà e, come in una coppia che litiga e non riesce più ad andare d’accordo, si arrivi a un divorzio”. Di Russia ha invece parlato Sergei M. Guriev, docente alla Sciences Po di Parigi, costretto il 30 aprile 2013 a lasciare il suo paese in quanto poco gradito al Cremlino. “Mazzette, repressione e propaganda. Sono questi i tre fili che Vladimir Putin regge, dopo aver prevaricato, a partire dal 2003, le ambizioni della potente oligarchia russa – il duro intervento di Guriev, introdotto dal giornalista del Corriere della Sera Paolo Valentino – Un sistema di potere che si configura come una dittatura, che però ad un certo punto non avrà più soldi a sufficienza per alimentarsi ed andrà in crisi. E il popolo russo, uno dei Paesi con i più alti livelli di reddito e di istruzione, grazie anche alle potenzialità di internet, capirà dov’è il limite tra realtà e propaganda. Perché si possono prendere in giro poche persone per un periodo lungo, tutti per un breve periodo, ma non tutti per sempre”. Tra i motivi dei contrasti di Guriev con i vertici della politica russa, l’appoggio a “Aleksej Navalnyj, il blogger più famoso di Russia con lo slogan “partito dei ladri e dei malfattori”.

(2 giugno 2014)
Foto Daniele Mosna

“Europa o no, è ora di cambiare”
L’economista Luigi Zingales racconta le sue ricette per l’Italia. E una sintonia speciale con Bibi Netanyahu

Zingales“Europa o no, dobbiamo cambiare”. Parla in prima persona, Luigi Zingales, e lo fa, per sua stessa ammissione, da economista profondamente italiano che, pur apprezzando gli Stati Uniti, dove vive da vent’anni insegnando all’Università di Chicago, si sente “un esule”. Intervistato da Pagine Ebraiche esprime il suo grande cruccio per l’Italia fatta “di gente splendida e leader incapaci” formulando l’auspicio di poter dare un contributo, con il suo nuovo libro “Europa o no. Sogno da realizzare o incubo da cui uscire” (Rizzoli, 2014) a spiegare perché i populismi, che spesso sollevano problemi reali, vanno affrontati con risposte chiare. Ad apprezzare il pensiero di Zingales e la sua capacità di fornire soluzioni oltre le etichette, è stato anche il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che ha fatto del precedente volume firmato dall’economista, “Manifesto Capitalista. Una rivoluzione liberale contro l’economia corrotta” (Rizzoli 2012), un punto di riferimento.

Professor Zingales, lei ha dichiarato che il modo in cui più le è piaciuto essere definito è “passionate economist”, economista appassionato. Perché si ritrova in queste parole?

Perché in questo lavoro esiste senz’altro un aspetto tecnico importante, ma un grande valore lo assume la dimensione di politica pubblica. L’economia è una scienza imperfetta, per molti versi simile a quella medica: non è sufficiente teorizzarla in astratto, occorre comprenderne gli effetti concreti sull’organismo. E personalmente provo una profonda passione civile, per le conseguenze che certe idee, teorie o politiche possono produrre sul tessuto economico.

Nei suoi interventi lei critica spesso la mancanza di cultura in materia. In Italia esiste una cultura economica scarsa, anche nella ristretta cerchia dei laureati.

Il risultato è una classe dirigente e un’opinione pubblica che non sanno di economia, sono trascinate a occuparsene dalla crisi e la vedono in termini scandalistici, spread sì, spread no, keynesiani, fondomonetaristi, destra, sinistra, piuttosto che guardare ai problemi e a come risolverli seriamente. Un po’ di cultura economica in più aiuterebbe anche a rendere meno ideologici i confronti. Con l’ultimo libro che ho scritto spero di dare un contributo.

“Europa o no. Sogno da realizzare o incubo da cui uscire”. Ma non si rischia, proprio partendo da un titolo come questo, di dare fiato alle voci populiste distruttive?

Guardi, i rischi ci sono sempre, però secondo me il più grosso in questo momento è quello di non riconoscere che anche i movimenti populisti, per quanto magari volgari, per quanto sguaiati, hanno dei punti validi nel sollevare problemi veri, e quando lo fanno non si può semplicemente tacitarli perché sono populisti, bisogna affrontarli, ragionando sul perché le tesi che propongono sono sbagliate. Purtroppo, l’atteggiamento di molta intelligenza italiana è invece il rifiuto aprioristico: non rispondendo a quesiti legittimi, si fa il gioco di chi vuole lo sfascio totale.

Quali sono dunque le soluzioni che propone nel suo libro?

Il punto fondamentale è che, Europa o no, noi dobbiamo cambiare. I nostri problemi sono strutturali, non nascono dall’euro, possono al massimo esserne stati acuiti. Se l’idea è quella di uscire dalla moneta unica perché questo ci consentirebbe di non farlo, è una soluzione stupida. Detto ciò, è difficile rimanere in questa Europa e nell’euro se non c’è un mutamento da parte dell’eurozona. Innanzitutto, e in questo senso sono stati fatti dei passi avanti ma non abbastanza, un’unione bancaria seria, che metta tutti gli istituti nelle stesse condizioni di competitività. Secondo, un’assicurazione contro la disoccupazione pagata e amministrata a livello europeo. Terzo, una politica monetaria meno deflattiva che faciliti il recupero di competitività all’Europa del sud.

Il suo precedente libro “Manifesto capitalista” dedicato ai problemi del capitalismo clientelare è stato particolarmente apprezzato dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Se lo aspettava?

È stata una sorpresa totale. Ovviamente sapevo chi Netanyahu fosse, ma non avevo mai avuto il piacere di incontrarlo né la notizia che avesse letto il libro. Tuttavia, da quanto ho potuto capire pur non essendo un esperto della situazione israeliana, l’interpretazione è abbastanza semplice. Netanyahu sta portando avanti una battaglia contro quelli che potremmo chiamare i “poteri forti” dello Stato e dell’economia, e si trova in difficoltà perché da uomo conservatore, di un partito certo non di sinistra, si trova a combattere alcuni capitalisti e quindi a fronteggiare l’accusa di essere contro il capitalismo. Penso sia dunque naturale che abbia trovato una sintonia in una persona come me, profondo fautore di un sistema di mercato, ma scettico rispetto al potere di alcuni capitalisti al punto da aver scritto un libro che si occupa di “salvare il capitalismo dai capitalisti”. E devo ammettere che questa sintonia l’ho percepita immediatamente quando ho avuto occasione di incontrarlo. Sono rimasto colpito dalla profondità del suo pensiero economico. E io non faccio complimenti facilmente.

Ha visitato Israele?

Ci sono stato due volte. La prima nel 1992, in un viaggio organizzato da una rivista di economia. In quell’occasione ho avuto la possibilità di trascorrervi qualche giorno, sono stato a Masada e sul Mar Morto, mentre l’ultima volta, per un convegno scientifico nel 2012, sono tornato soltanto a Gerusalemme. Sono appassionato di architettura, soprattutto storica, Gerusalemme mi suscita delle emozioni pari solo a quelle di Roma. Per quanto riguarda l’economia israeliana, l’impressione è quella di un paese vibrante, ma non ho una conoscenza approfondita, per cui ogni giudizio sarebbe superficiale.

Nel corso della sua vita e della sua carriera ha avuto occasioni di contatto con il mondo ebraico, un libro, un amico, un pensatore?

A Padova, dove sono cresciuto, mio fratello aveva alcuni amici ebrei, ma non io personalmente. Negli Stati Uniti invece ho trovato tantissimi colleghi e mi sono fatto una grande esperienza. Per esempio ho avuto modo di apprezzare la cerimonia del Bar Mitzvah, che non conoscevo e ho trovato proprio bella per un ragazzo, per segnare il suo ingresso nella comunità. Sono un grande estimatore della cultura ebraica.

Nei suoi interventi lei usa costantemente l’Italia come termine di paragone negativo, per delineare ciò che rischiano altre realtà se non corrono ai ripari. È davvero tutto da buttare?

In tanti anni che giro il mondo ho imparato che è più facile illustrare i problemi attraverso i difetti propri rispetto a quelli altrui. E probabilmente uno dei vantaggi dell’Italia è il fatto che ciò che non va è così trasparente che si riconosce subito. Detto questo, secondo me l’Italia è un paese con una potenzialità straordinaria: la mia sofferenza da cittadino è proprio legata al fatto che abbiamo gente splendida e leader incapaci. È una situazione che non riesco a comprendere. Si dice che ognuno ha i politici che si merita, eppure non sento che noi italiani meritiamo una classe dirigente, anche imprenditoriale, di questo livello. Vorrei capire il motivo per cui siamo così sfortunati. Il mio sogno sarebbe aiutare a risolvere questo problema.

Rossella Tercatin, Pagine Ebraiche giugno 2014