Qui Torino – Il sogno del Mediterraneo
Quello che colpisce, anzitutto, è il colore dell’acqua, o meglio i colori dell’acqua, l’acqua del mare di Tel Aviv e in particolare del litorale di Jaffa, dove sono ritratte tutte le opere di Philippe Boulakia, in mostra alla Ermanno Tedeschi Gallery di Torino, Via Pomba 14.
Una retrospettiva di sicuro successo, inaugurata l’altra sera nel capoluogo piemontese, dove rimarrà aperta sino al 30 luglio.
Hamsin il titolo della mostra e anche l’unico titolo presente, perché tutte le opere (una sessantina circa) recano la dicitura Untitled, quasi a significare che non c’è bisogno di intitolare un dipinto, quando basta guardare per capire che cos’è. E qui, in tutte le opere di Boulakia, protagonisti assoluti sono la spiaggia, il mare e la gente: la spiaggia e il mare sono quelli di Tel Aviv e di Jaffa e la gente è l’universo che frequenta questo mare e questa spiaggia.
Un universo composito, che sembra perdere di identità perché questo litorale è un luogo per tutti, israeliani e turisti, arabi ed ebrei, laici e religiosi, grassi e magri, giovani e anziani, donne e bambini, abbronzati o con la pelle bianchissima. Insomma un’umanità intera, senza differenze, di credo e di idee, è quella che attira l’occhio di Philippe Boulakia, che, come ama raccontare, va al mattino in spiaggia e al pari di un diligente e attento fotografo, si ferma a ritrarre chi gli sta di fronte, singoli o famiglie, coppie o gruppi di famiglia, sotto l’ombrellone o davanti al pic-nic, o per lo più immersi nell’acqua.
Nato a Tunisi nel 1955, cresciuto a Parigi ed emigrato in Israele nel 1972, dove tuttora abita nel quartiere arabo di Jaffa, Boulakia, dopo essersi laureato alla Bezalel Academy of Art and Design di Gerusalemme, dove poi insegnerà nel Dipartimento di Graphic Design, cambia spesso nella sua carriera pittorica tecniche, temi, ma dalla sua pittura traspare sempre una vena impressionista.
Qui, nella raccolta Hamsin il filo rosso che lega tutte le opere è legato al tema forte dell’integrazione e del senso della coesistenza umana, al di là di pregiudizi, intolleranze, differenze religiose o politiche. Anzi, è proprio questo il messaggio che Philippe Boulakia lancia attraverso i suoi dipinti: le differenze, sulla spiaggia e nell’acqua si possono superare perché, come scrive Tali Tamir nella presentazione al bel catalogo, “tutti si fanno il bagno nella stessa acqua. Le identita’ si mischiano nella schiuma delle onde, le ostilita’ si sciolgono sulla sabbia e le differenze spariscono al sole. Il sole e le onde non giudicano e accettano tutti, figure esposte al nudo occhio umano, addomi scolpiti e ventri molli”. E la spiaggia di Jaffa è per Boulakia un osservatorio speciale, un luogo di “attrazione” fondamentale, perché luogo multiculturale, che lo caratterizza dal resto di Israele, per la sua pluralita’ e la sua eterogeneita’.
Lui segue così ciò che succede in spiaggia, all’alba e al tramonto, o durante le ore più calde, le piccole quotidianità, con un occhio attento e lo riporta con mano capace dipinge con acrilico su tela, o creando anche stampe su vecchie pagine di libri ebraici e giornali trovati in strada, sempre con un’attenzione alla gente, alle azioni che si ripetono sulla spiaggia. E sempre con una luce intensa e meravigliosa, che riporta fedelmente la luminosità della spiaggia e dell’acqua di mare. Quel mare del Mediterraneo dove tutti si immergono, senza ipocrisie e senza differenze.
Ma – come si legge ancora nella prefazione al catalogo – “mentre il corpo spesso non fa apparire le diversita’, le differenze culturali si notano: le donne musulmane si immergono nell’acqua vestite in lunghi ghalabias con i capi coperti. I loro corpi sono celati, mentre altre donne abbandonano le loro vecchie membra alla visione pubblica, abbandonando ogni pretesa di perfezione o bellezza holliwoodiana. Qua e la un copricapo ebraico si nota, segno di identita’ religiosa”.
E forse, come scrive il professor David Ohana, “l’opzione mediterranea e’ l’unica possibilità che ha Israele per coesistere pacificamente con i suoi vicini e se stessa, a supporto del “più antico sogno umano”, in cui la società israeliana dovrebbe aspirare a vivere: il sogno del Mediterraneo.
(2 giugno 2014)