Identità: Saul Lieberman

Saul LiebermanNel 1958 l’allora Primo ministro dello Stato di Israele, David Ben Gurion si è trovato a gestire il fatto che la nozione stessa di identità ebraica era diventata in Israele oggetto di una legislazione che avrebbe avuto implicazioni pratiche cruciali. A cinquanta “Saggi di Israele” Ben Gurion pose la domanda divenuta il titolo del lavoro del professor Eliezer Ben Rafael, che in un e-book intitolato “Cosa significa essere ebreo?” – scaricabile dai siti www.proedieditore.it e www.hansjonas.it – ha messo in luce per la prima volta in Italia quella discussione sistematica sull’identità ebraica. Ogni domenica, sul nostro notiziario quotidiano e sul portale www.moked.it, troverete le loro risposte. Oggi è la volta di Saul Lieberman (1898-1983). Nato a Motal (Impero russo), Bielorussia, studia alla yeshiva di Malcz e poi a quella di Slobodka. Negli anni Venti studia anche all’università di Kiev e in Francia. Nel 1928 immigra in Palestina e completa gli studi all’Università ebraica di Gerusalemme dove, nel 1931, ottiene un incarico come docente di Talmud. Nel 1935 è nominato preside dell’Istituto Harry Fischel per la ricerca talmudica a Gerusalemme. Nel 1940 è invitato come professore di storia e di letteratura dal Jewish Theological Seminary. Nel 1949 è preside del Seminary’s rabbinical School e rettore nel 1958. Per molti anni è stato presidente dell’American Academy of Jewish Research. È stato anche membro onorario dell’Accademia della Lingua Ebraica (Gerusalemme) e membro dell’Accademia israeliana delle Scienze e delle Lettere (Gerusalemme). Nel 1971 ottiene il premio di Israele. Il suo ambito di specializzazione è il Talmud di Gerusalemme e tra i suoi lavori si citano Tosefet rishonim: perush meyusad al kitve yad haTosefta we-sifre rishonim u-midrashim be-kitve yad u-defusim yeshanim, (Addendum dei primi: interpretazione basata sui manoscritti della Tosefta e sui primi libri e sui midrashim nei manoscritti e negli antichi testi a stampa), 4 voll. 1937-1939 e Sifre Zuta, 1968 (Libri minori). Molti dei suoi studi riguardano l’influenza della cultura greca sull’ebraismo nei primi secoli.

New York, 25 kislev 5719

Signor Primo ministro,

Al mio ritorno dalla montagna, ho trovato la Sua lettera, e mi affretto a rispondere. Si tratta di sapere se il figlio di un ebreo e di una non ebrea segue la filiazione paterna [e dunque se è ebreo]. È evidente, e non c’è da discutere, che il figlio non è in nessun caso ebreo. Qualsiasi dichiarazione o promessa, del padre come della madre, non cambia affatto la situazione; [per essere ebreo], il figlio deve convertirsi secondo la regola [dell’ebraismo]. È chiaro, inoltre, che un tribunale rabbinico non accetterà in nessun caso di convertire dei bambini se è palese che i genitori non li educheranno nell’osservanza della Torah e dei precetti. Nessuna tragedia [vissuta] dai genitori può obbligare chicchessia ad avviare una conversione che è solo commedia. Come comportarsi, tuttavia, nei confronti di una persona, il cui padre è ebreo e la madre non lo è, che dichiara: “Mi considero ebreo da tutti i punti di vista!”. Dobbiamo dissuaderlo? È evidente che questa persona ha il diritto di considerarsi autentico ebreo. Un non ebreo che si considera parte del popolo ebraico, ma non nasconde la sua vera origine, ha il dovere di osservare coscienziosamente i sette precetti noachidi, e di essere chiamato pio tra le nazioni. […] Se tale non ebreo dimostra amore e devozione per il popolo di Israele, ci è prescritto di amarlo, di avere per lui dell’affetto e di stimarlo. Sarà chiamato amico, compagno degli ebrei o con altri termini simili. Come non possiamo imporgli di non considerarsi ebreo, anche lui non ha il diritto di obbligarci a riconoscere la sua ebraicità. E se veramente il popolo ebraico gli è caro fino a questo punto, gli è aperta la porta per impegnarsi a osservare i precetti e per convertirsi. La sua conversione non nuoce affatto ai suoi privilegi, perché non abbiamo pregiudizi contro i convertiti. Quando i bambini ebrei studiano le storie [dell’epoca] della distruzione del Tempio, nel Trattato Ghittin, imparano, fra l’altro, che alcuni dei più grandi Saggi di Israele provenivano da famiglie di convertiti [all’ebraismo]. Troviamo, per esempio, la storia di un gran sacerdote che usciva dal Tempio, seguito da tutto il popolo. Quando però [la gente] vide Semaia e Attalione, figli di convertiti, il popolo ha abbandonato il [sacerdote] dalla lunga ascendenza ebraica e si è raccolto dietro a questi figli di gherim. […] Allo stesso modo, una donna non ebrea, che ha partorito un bambino di un ebreo e vorrebbe che lo convertissimo, può sempre applicarsi allo studio della Torah e dei suoi precetti e vedrà suo figlio convertito senza indugi. Se non è pronta a questo, può decidere di lasciare che suo figlio diventi pio tra le nazioni; una volta in età adulta, potrà, se vuole, affiliarsi al popolo santo e convertirsi di sua spontanea volontà. Questa è la Halakhah accettata da Israele. Passiamo adesso alle modalità del dibattito. […] Conoscendo le intenzioni del governo israeliano solo da fonti cui generalmente non siamo autorizzati a credere, ma che possiamo solo paventare, continuiamo il dibattito basandoci su un punto che ci è senza dubbio comune, cioè l’unità del popolo di Israele. Ogni deviazione dalla Halakhah in merito ai matrimoni misti e ai figli di matrimoni misti provocherebbe confusione nella mente degli ebrei della diaspora. La maggioranza del popolo ebraico si trova in America e anche quelli che non osservano il Giorno dell’Espiazione (Yom Kippur), temono i matrimoni misti. Fino all’ultimo momento, i genitori fanno tutto ciò che è in loro potere per impedire ai propri figli e alle proprie figlie di contrarre tali matrimoni. Il dispiacere non simulato dei genitori spesso riesce a convincere [i figli]. Il minimo [compromesso] da parte di Israele avrebbe gravi conseguenze per sé e per la diaspora. Ferirebbe il popolo in ciò che ha di più caro. I padri non potrebbero portare degli avvocati dai propri figli per spiegare loro che in Israele la situazione è diversa perché questi, a ragione, risponderebbero: “Se è permesso in Israele, lo è anche in America”. Non vogliamo metterci in una situazione che possa consentire alle persone di affermare: “Quando ci si vuole sbarazzare della propria moglie si va in Nevada [per divorziare] e quando si vuole sposare una non ebrea e avere da lei dei figli ebrei si va a Gerusalemme, nella Città santa”. Dal momento che, nostro malgrado, abbiamo dovuto affrontare la questione, vogliamo dir[le] che non siamo assolutamente d’accordo con quelli che accusano il governo israeliano di volere deliberatamente arrecare danno alla religione affinché [il popolo di] Israele l’abbandoni. Non conosciamo le intenzioni del governo, [perché] solo Dio sonda i cuori. Colui che sul monte ha detto: “Non ti imparenterai con loro”,132 ha detto anche: “Non andrai in giro a spargere calunnie” 133 e “Non presterai mano al colpevole per essere testimone di un’ingiustizia” 134 e ci proibisce di ascoltare la maldicenza. Nella legge orale, ci ha anche ordinato di non accusare nessuno senza prove. Non si fanno compromessi con i comandamenti, accettandone alcuni e rifiutandone altri. […] Spero che le mie parole, dette in tutta sincerità, siano convincenti. [Si ricordi] di Yaakov, del villaggio di Nibbuyara, che volle prendere una decisione contraria alla Halakhah e anticipò il governo israeliano di millesettecento anni, dichiarando ebreo il figlio di una donna non ebrea: ha avuto il privilegio che sia ricordato il suo nome grazie al Talmud di Gerusalemme e ai racconti del Midrash perché ha ammesso il proprio errore. In questo ha mostrato la sua grandezza d’animo e secondo la formula di Rabbi Jehudah: “Un grande uomo… perché non ha avuto paura di dire: non lo sapevo”. Ci sono molti saggi tra i popoli del mondo ma molti sono quelli del popolo di Israele. Il governo israeliano ha già avuto più volte l’occasione di mostrare la sua grandezza e sono convinto che anche questa volta dimostrerà coraggio e si comporterà come i Saggi di Israele che non hanno temuto di affermare: “Le cose che ho detto in precedenza erano sbagliate”. Non si farà scrupolo di dire: “Non sapevo. Ora che so, riconosco il mio errore”. Le frecce che gli preparano i suoi nemici si trasformeranno in paglia e in polvere. Concludo con l’augurio che Dio Le indichi la giusta via e Le dia lunga vita. Con la mia modesta benedizione.

(8 giugno 2014)