Da Napoli a Venezia
Una grande partecipazione – attraversata da un diffuso sentimento di ammirazione, gratitudine e anche da un filo di malinconia – ha segnato una toccante cerimonia organizzata, lo scorso mercoledì 28 maggio, presso la Sala della Giunta del Comune di Napoli, per salutare Rav Scialom – meglio conosciuto come Mino – Bahbout, in occasione della fine del suo servizio come rabbino capo della Comunità ebraica di Napoli e dell’Italia meridionale, e alla vigilia del nuovo, prestigioso incarico assunto alla guida spirituale della Comunità di Venezia.
Come è stato adeguatamente messo in rilievo, nei loro interventi, da Nino Daniele, Assessore alla Cultura e Turismo della Città di Napoli, da Suzana Glavas, docente di croato e membro della Comunità ebraica cittadina, e dal Magistrato Ferdinando Imposinato, non sono solo gli ebrei napoletani – e, con loro, tutti coloro che, a vario titolo, si interessano di ebraismo – ad avere un alto debito di riconoscenza nei confronti di Rav Bahbout, ma l’intero Mezzogiorno d’Italia, che, per tre anni e mezzo, ha avuto in lui una voce culturale e un punto di riferimento morale di altissimo livello, di cui Dio solo sa quanto, nei tempi presenti, ci sia bisogno. Anni intensi, anni preziosi, segnati da tanti momenti significativi e anche, purtroppo, dall’enorme dolore della scomparsa dell’amata compagna, la scrittrice Patrizia Mintz.
Onnipresente, in mille diverse occasioni pubbliche e private, sempre disponibile al cotatto umano diretto, Bahbout è stato tra i principali protagonisti non solo di quel grande risveglio dell’ebraismo meridionale che vede, a distanza di cinque secoli dall’espulsione del 1510, il risorgere di una presenza ebraica in svariate località dell’Italia meridionale – da Reggio Calabria a San Nicandro, da Trani a Siracusa a Brindisi -, ma anche della forte crescita di interesse, da parte dell’intera società civile, nei confronti della cultura e della religione ebraica, a cui oggi, anche grazie a Bahbout, molti cittadini meridionali guardano con assai maggiore conoscenza, interesse e simpatia, nel superamento di vecchi stereotipi, purtroppo assai duri a morire. Migliaia di napoletani e meridionali hanno avuto, in questi anni, nelle più svariate circostanze, la possibilità di incontrare e ascoltare di persona Rav Bahbout: e il suo insegnamento – così fermo nei princìpi, così lieve e sereno nel linguaggio, e così improntato al confronto e al dialogo – lascerà in tutti, certamente, una traccia profonda.
Il lungo ‘curriculum’ di Bahbout – con le tante pubblicazioni, iniziative, manifestazioni, incontri promossi e organizzati -, sintetizzato dalla Glavas mercoledì scorso, non può qui essere rievocato. Ma vorrei solo ricordare quelle che mi sembrano le tre stelle polari del suo impegno e della sua missione: la convinzione che i valori ebraici siano strettamente intrecciati ai valori più veri e profondi di un umanesimo universale, nel senso che il progresso dell’ebraismo non può non coincidere col progresso civile e spirituale dell’umanità tutta; l’importanza primaria e fondamentale attribuita alla cultura, considerata autentico e inalienabile ‘diritto umano’; l’intransigente difesa delle ragioni di Israele, non solo quale patria del popolo ebraico, ma come bandiera di civiltà e democrazia per tutti gli uomini.
Mino Bahbout ha promesso che tornerà a trovarci regolarmente, e gli crediamo, perché ha sempre mantenuto tutte le sue promesse. E anche perché, se Napoli è ora più ‘ebraica’, anche Mino è, ormai, e irreversibilmente, napoletano.
Francesco Lucrezi, storico
(11 giugno 2014)