Ticketless – Roma e la felicità

cavaglionIl 4 giugno di settant’anni fa Roma veniva liberata: la ricorrenza mi impone di anticipare il discorso che desideravo fare sui triestini e sui piemontesi nella capitale. Quelle giornate magnifiche resero possibile un miracolo. Due fra gli intellettuali più pessimisti che la cultura italiana abbia conosciuto nel Novecento, conobbero in quelle ore un sentimento che non avevano mai provato: la felicità. Roma liberata dona la felicità ad un pessimista cosmico, matrilinearmente ebreo, come Arturo Carlo Jemolo, che scrive nella sua stupenda autobiografia, “Anni di prova”: “Uno dei rari momenti di ottimismo della mia vita lo rammento in quel 4 giugno 1944 in cui gli alleati entrarono in Roma”. Ottimismo, precisa, non per quello che si aspettava dagli anglo-americani, ma per quello che la popolazione aveva saputo dimostrare nei nove mesi di occupazione e che oggi bisognerebbe rivalutare: “Malgrado la fame, la paura, dal punto di vista della contemplazione del proprio simile era stato un bel periodo. […] Uno sciagurato che riconosciuto al Tritone un ebreo voleva farlo arrestare, vide farsi il vuoto intorno a sé, avendogli tutti voltato le spalle, e, rivoltosi ad un agente di pubblica sicurezza, quegli gli rispose che non era in servizio. […] Nei miei ricordi chiamo questi i giorni del roveto ardente”. Per i piemontesi residenti a Roma subito dopo la sua liberazione si potrebbe aggiungere Carlo Levi e l’apertura del suo capolavoro, “L’Orologio”: per le strade di Roma, scrive, in quei giorni pareva di ascoltare il ruggito di un leone. E i triestini? Come dimenticare i versi forse più belli del “Canzoniere”? Saba arriva a Roma poche ore dopo la liberazione, da Firenze: “Avevo Roma e la felicità/ Una godevo apertamente, e l’altra/ tacevo per scaramanzia”.

Alberto Cavaglion

(11 giugno 2014)