Finestra sul confine – A Beit Sahur

calo livneQuesta volta l’incontro della Commissione culturale europea per la pace è a Beit Sahur, vicino a Betelemme. Non posso negare che ogni volta che devo partire mi viene un forte mal di testa dalla sera precedente. Non so mai cosa mi aspetta e quali sono le reazioni dopo gli ultimi eventi. Arrivo a Gerusalemme in treno dopo un viaggio mozzafiato in un wadi tra colline coperte di ulivi. Issa l’autista che viene a prelevarmi parla perfettamente l’ebraico, ha studiato all’università di Gerusalemme.
Tiene molto a mostrarmi il “muro”, le terre che sono rimaste dall’altra parte. Passiamo attraverso vie strette ed affollate davanti a grandi alberghi, a ristoranti , negozi. Le strade sono colme di turisti. Issa e poi Fatima e gli altri palestinesi che partecipano al Meeting ammettono che la seconda intifada sia il peggior evento che sia capitato ai palestinesi. Sono orgogliosi di Abu Mazen : “È lui che ha fermato gli atti terroristici – asseriscono – Non la barriera di difesa”. Una volontaria polacca che opera a Gaza dice ai rappresentanti dell’U.E.: “Ci chiedete di proporre nuove idee per risolvere il conflitto ma prima di tutto noi dobbiamo occuparci delle lotte interne tra le diverse fazioni nei luoghi nei quali operiamo!”.  Si parla di riconciliazione, comprensione, avvicinamento, accoglienza. Comincio a rilassarmi.
I rappresentanti palestinesi parlano del problema della “normalizzazione” cioè l’inizio di una cooperazione prima che finisca l’occupazione. Questo è uno dei grandi ostacoli delle ONG che operano per il dialogo con ottimi progetti di peace building attraverso l’arte, l’ambiente o l’educazione che però mettono in pericolo i palestinesi che spesso sono minacciati da chi non accetta di cooperare prima della fine dell’occupazione e questo è uno degli argomenti che sollevano interrogativi… ai quali purtroppo per ora è difficile rispondere.
L’atmosfera è tesa ma i rappresentanti dell’Unione europea vegliano dando una botta all’incudine e una al martello ascoltando le sofferenze ancora e sempre vivide di entrambi le parti.
Con tutto ciò ho sentito affermazioni che non avrei potuto sentire fino a qualche anno fa. Quando Shireen mi dice dopo un po’ di critiche pesanti: “Mio marito è di Ramallah e io Sachnin. Io vivo là e qua perché lì non ricevo nessun contributo, né assistenza medica” le domando con orgoglio “Allora non è tanto male vivere in Israele?” “In questo caso no. Da questo punto di vista Israele non si può comparare a nessuno dei Paesi arabi che la circonda!”

Angelica Edna Calo Livne

(13 giugno 2014)