Tea for two – La solitudine

silvera giusta“Marco se ne è andato e non ritorna più”, cantava Lauretta Pausini in crisi ormonale di matrice adolescenziale, strappando la possibilità ad epigoni italiani di Philip Roth di intitolare la propria opera prima Solitudine. La solitudine è in assoluto la protagonista della settimana. M. arriva in ufficio trafelata come al solito, inforca gli occhiali ed esordisce: “Mi sono rotta di vivere da sola, non so come allacciarmi i braccialetti, non ho consulenze sugli abiti”, in puro stile Samantha di Sex&TheCity in preda al panico quando ha la febbre ed è sprovvista di chi la possa accudire o si ritrova senza nessuno che le tiri su la zip dei vestiti. La solitudine è la paura più becera e buia che ci sia, quella che ti fa prendere decisioni folli obnubilata dal terrore di essere condannata a restare con te stessa per tutta la vita. Ieri tornando a casa, dopo aver preso tutta la razione di pioggia possibile, tolgo le scarpe e scopro con orrore e raccapriccio che hanno stinto sui miei piedi. Avere i piedi color pino silvestre non è proprio il massimo della vita a meno che tu non sia una groupie di Ovidio o della Pioggia nel pineto. Mi dirigo verso la doccia che decide di farla finita facendo cadere rovinosamente a terra il becco da cui esce l’acqua . Impaurita e debilitata mi rendo conto di essere sola, perdutamente sola, impugnando un becco monco. Vi sembrerà di una superficialità imbarazzante, ma è una sensazione intensa ed agghiacciante. Il senso di solitudine arriva in momenti poco epici, esattamente come le cadute più dolorose sono sempre quelle più imbarazzanti. Puoi sentirti sola mentre ti si rompe la doccia, mentre mangi un mikado, mentre mandi una e-mail a lavoro. Quando ti svegli e cominci a tastare il volto e le gambe sorpresa di esserci ancora. Quando leggi che Monica Lewinsky ora ha 40 anni e non si è più rifatta la vita, non ha un lavoro stabile e gli uomini la guardano intrisi di moralismo ipocrita. Mentre pensi a come è morta Oriana Fallaci, nonostante sia sopravvissuta alla guerra in Vietnam. Ti senti sola mentre scendi dalla metro e tutto sembra una palude inospitale, quando scrivi a qualcuno che non ti risponde per pura indolenza. Il tuo io più critico cerca di frenarti, ti rimbrotta sbattendoti in faccia i veri problemi. Ma non c’è niente da fare, la solitudine se ne frega della gerarchia del dolore, arriva e basta. E non serve mettere uno smalto nuovo, guardare la partita dell’Italia o leggere l’intervista al Generale Giap. Non serve comprare nuovi sandali e tentare di lavarsi i capelli direttamente dal tubo, e nemmeno fare la spesa nel supermercato folle aperto la domenica. Perché finché la maestosa Madame Solitudine ti vuole, ti ha. E ti instilla pensieri brutali, frase acide, movimenti sgraziati. Poi, senza l’aiuto di preti e maghi, toglie il disturbo. Dal volto scompare quel colorito verdognolo e gli occhi si sgonfiano. Il the freddo è in frigo, la torta salata in tavola ed i sandali nuovi in camera. La mamma è sempre la mamma, la simmenthal e sempre la simmenthal ed oltre al male banale, fortunatamente esiste anche il bene banale, ed è pure allitterante. Allora decidi, che prima di venire sgridata per aver rotto la doccia, puoi impugnare il becco monco come un microfono e cantare canzoni stonate. Puoi fregiarti di avere una serie di gomme da cancellare a forma di macarons e una collega che sta confezionando una gonna per te. Puoi ticchettare frasi sconnesse al computer ed ascoltare l’unica canzone di Vinicio Capossela che conosci. Lo sai che prima o poi la maledizione di Laura Pausini tornerà, con il suo cristallizzato Marco, il suo impolverato banco di scuola ed i suoi acuti da cucciolo ferito. Ma non puoi fermarti. Non con quei piedi ancora color verde bosco.

Rachel Silvera

(16 giugno 2014)