Qui Roma – Dalla Libia al Portico d’Ottavia

gerbiPubblico delle grandi occasioni al Teatro Sala Umberto per la prima rappresentazione dello spettacolo I Love Libya, piece autobiografica in cui l’autore – David Gerbi – racconta il dramma della cacciata degli ebrei di Libia e l’accoglienza di una parte significativa di questi all’interno della Comunità ebraica romana. Ad introdurre la serata, condotta dalla giornalista Paola Saluzzi, gli interventi del leader comunitario Riccardo Pacifici e dell’ex ministro per l’Integrazione Cecile Kyenge.
Centrate sull’importanza dei diritti umani le parole di Pacifici, che ha invitato il pubblico a partecipare alla serata di solidarietà ai tre studenti israeliani rapiti in programma questa sera al Portico d’Ottavia. Lo stesso Pacifici ha poi donato la maglietta simbolo dell’evento alla Kyenge, di cui è stato significativamente ricordato l’impegno politico a tutela dei valori di democrazia, pari diritti e dignità umana. Presenti in sala, tra gli altri, il rabbino capo Riccardo Di Segni e il vicepresidente della Comunità Religiosa Islamica Yahya Pallavicini.
Per la prima volta a Roma, tratto da una storia vera e interpretato dallo stesso Gerbi, lo spettacolo è un ‘’one man show’’ che racconta la vicenda di David, giovane ebreo libico rifugiatosi a Roma nel 1967. Un’opera nata dopo l’attentato alle Torri Gemelle: come ha spiegato l’autore, in quella circostanza sono infatti tornati nitidi alla sua mente i ricordi e le drammatiche esperienze vissute anni addietro. Uno spettacolo che ha superato l’oceano, dall’America al Giappone, per portare con sé un messaggio inequivocabile: un infinita lotta contro il silenzio.
Ed è proprio questa, infatti, l’identità della piece: uno spettacolo che è un manifesto contro il razzismo e la discriminazione e in cui dà ampio spazio alla parola senza paura di dover gestire un livello o un limite alla dialettica.
Ponendo come soggetto principale la cacciata e la sofferenza degli ebrei libici il protagonista articola intorno alla sua rappresentazione una varietà di significati, un invito a rimboccarsi le maniche per contribuire a questa lotta contro un nemico naturale.
La sceneggiatura si sviluppa su un doppio binario: l’accoglienza offerta dagli ebrei romani e l’arricchimento socio-culturale scaturito da quell’incontro. Dalla guerra dei sei giorni ad oggi per dimostrare come un essere umano possa passare dall’impotenza all’indignazione e allo stesso tempo prendere coscienza della storia e dell’impegno che vi è nella lotta contro il razzismo e per il rispetto dei diritti umani.
David si muove come uno specchio sul palco: uno specchio che rappresenta tutti noi sia come ebrei, mettendo in scena una storia ricca di sofferenza e di rabbia, sia come italiani che combattono ogni giorno contro un nemico comune per ottenere ciò che ci spetta. Mostrandoci la sua storia David fa trasparire la possibilità di intendere come questo percorso sia possibile riuscendo a passare da una dimensione di paura e terrore a una di fede. Grazie all’impegno, grazie all’emunà.

Angelo Piazza

(23 giugno 2014)