J-CIAK Paul Mazursky, la halvah e gli anni ‘70

mazursky“La halvah è probabilmente la cosa che ho di più di religioso”. “Sono a dieta da vent’anni, ma se mi date un pezzo di halvah è finita: non posso fare a meno di mangiarla”. Qualche anno fa Paul Mazursky scherzava così con Abigail Pogrebin, che lo intervistava per il libro “Stars of David: Prominent Jews Tallk About Being Jewish”. “Non ho una buona spiegazione psicologica del perché sono ebreo – continuava – Sono nato mangiando kreplach e matzoh brei e lox. Tra l’altro gli ebrei non fanno buoni secondi piatti. Sono bravi solo in quello che viene prima della carne. E qualche dessert. Il rugelach, per esempio, è un tesoro”.
Il grande regista morto lunedì, a 84 anni, si definiva senz’altro “anti-religioso”. (“La religione è tra le cose che hanno rovinato e rovinano il genere umano”). E a fermarsi qui ne viene fuori una sorta di Woody Allen ante litteram, sospeso tra ironia, radicalismo e un ebraismo quasi stilizzato. Basta però fare un passo oltre e il quadro si complica.
Questo campione dell’antireligione, nato a Brooklyn da una coppia di immigrati ucraini, capace di scoppiare in lacrime di commozione davanti alla nipotina che intona un canto ebraico (e di raccontare ridendo quella reazione così viscerale) ha finito infatti per dedicare gran parte della vita al racconto di quel mondo ebraico in cui era cresciuto. E davanti ai suoi personaggi si è soffermato con un’attenzione dolente, quasi religiosa (come non pensare alla grande madre Shelley Winters in Stop a Greenwich Village o ad Anjelica Houston in Nemici, una storia d’amore?).
Un’abilità di guardare alle cose e alle persone, la sua, che ne fa uno degli interpreti più alti di una realtà oggi quasi completamente scomparsa. Dopo un esordio come attore con Kubrick in “Paura e desiderio”, Mazursky – che negli anni tornerà più volte alla recitazione recitando anche nella serie Sopranos – passa alla regia e lì trova la sua voce più autentica. Presto si dimostra uno dei migliori interpreti del suo tempo e di una generazione che sull’onda della contestazione e della controcultura sogna di cambiare il mondo e intanto scopre la crisi di coppia, lo yoga, il sesso libero, la marijuana e la terapia di gruppo.
In “Bob & Carol & Ted & Alice” con Natalie Wood ed Elliott Gould adombra, nel 1969, uno scambio di coppia e si sofferma sui flussi di autocoscienza allora così popolari. Poco dopo, in “Henry & Tonto” narra la storia struggente di un vedovo alle prese con una vecchiaia solitaria mentre “Stop a Greenwich Village” (1976), uno dei suoi lavori più apprezzati, si immerge nell’ambiente scanzonato, frizzante e sconclusionato del Village.
“Una donna tutta sola del 1977”, forse il suo film più popolare, divenuto uno dei manifesti del femminismo storico, lo vede invece mettere al centro della scena una donna: Jill Clayburgh, moglie alle prese con un divorzio doloroso e inaspettato che lotta per rifarsi una vita e infine trova un baricentro proprio nella nuova libertà.
Dalle sue storie si sprigiona una fascinazione irresistibile. A tenere avvinti, più che i colpi di scena o i momenti divertenti (alquanto tari, trattandosi in ogni caso di commedie) è una capacità di chiaroscuro che ha pochi eguali e di cui Mazursky era del tutto consapevole. “Non mi piacciono i film moralmente semplici – diceva alcuni anni fa in un’intervista al grande critico Roger Ebert – Non credo sia nelle mie corde fare un film in cui le situazioni e le relazioni sono bianche o nere. Mi addentro invece nelle zone grigie. Uno dei miei problemi nel guardare “Qualcuno volò sul nido del cuculo” è che non vi è alcuna ambiguità: tutto è bianco e nero, le scelte sono trasparenti, le parti chiare”.
“Anche quando inizio con una situazione fondamentalmente divertente o triste, mi piace frugarci. Mi piace entrare nel vivo della relazione ed esplorarne i luoghi più sottili. Mi chiedo se ciò non nuoce al botteghino. Forse di questi giorni il pubblico vuole sapere esattamente cosa lo attende quando va a vedere un film e i miei film sono difficili da spiegare in un unico modo. Sono, come dire, dolceamari”.
Nella sua lunga carriera realizzerà uno dei suoi chiaroscuri più intensi in “Nemici, una storia d’amore” (1989), tratto dall’omonimo romanzo di Isaac B. Singer, libro duro, che racconta le vicende di un gruppetto di sopravvissuti alla Shoah nella New York post belllica a partire da un triangolo amoroso. Interpretato da Angelica Houston e Lena Olin, è uno dei lavori migliori del regista e lui stesso lo considererà uno dei suoi film più ebraici.
Attore, regista, produttore, sceneggiatore. Paul Mazursky riuscirà nella difficile impresa di restare in sella allo show biz per oltre mezzo secolo, anche se dopo l’inizio degli anni Novanta sarà alla regia solo sporadicamente, quasi il suo tempo si fosse esaurito. Oggi i suoi film sono considerati un unicum nella storia del cinema americano, un giacimento che s’immerge con passione, humour e affetto fin nel profondo negli anni Settanta: età difficile, età amara e al tempo stesso dolcissima di speranze, quasi come la halva.

Daniela Gross

(3 luglio 2014)