Studiare per studiare
Difficoltà delle prove, tipologie, punteggi, criteri di valutazione, voti giusti e ingiusti, troppo severi o troppo larghi. Mentre mi perdo in questi discorsi, tipici degli insegnanti nel periodo degli esami di stato, mi viene ricordato che nelle yeshivot si studia in coppia e non esistono voti. Qualche ora dopo sento il telegiornale che parla dei “tre seminaristi uccisi” e con un po’ di sconcerto cerco di ricostruire il percorso logico che ha portato a questa definizione: yeshivà = scuola rabbinica = scuola per diventare rabbini = seminario. Forse chi ha scelto questa parola non aveva capito che si può studiare in una yeshivà e poi magari esercitare qualunque tipo di mestiere.
Studiare per studiare, non per un buon voto, non per un pezzo di carta, non per una carica, religiosa o laica che sia. Studiare perché lo studio è di per sé un valore, non perché serva a diventare rabbini, non perché attraverso lo studio si acquisiscano gli strumenti per avvicinarsi alla sfera del sacro: lo studio stesso è sacro, tant’è che nella cultura ebraica le persone scomparse si commemorano attraverso lo studio.
Ancora più forte si sente il bisogno di proclamare il valore dello studio di fronte all’assurda uccisione dei tre studenti Eyal, Gilad e Naftali. Lo studio sarà il mezzo migliore per ricordarli e onorarli.
Anna Segre, insegnante
(4 luglio 2014)