Brasile 2014 – Rabbini nel pallone

calcio sacksSi può guardare ai Mondiali in tanti modi: prendendo in considerazione la dimensione tecnico-agonistica, appassionandosi alla scenografia e al circus mediatico che fa da contorno alle partite, vedendo nel torneo un significativo momento di incontro tra popoli e culture diverse. E ci si può avvicinare all’evento, atteso in queste settimane dalle ultime fasi di gioco, con la prospettiva di un religioso. Così ha fatto rav Jonathan Sacks (nella foto), ex rabbino capo d’Inghilterra e del Commonwealth e tra le personalità più influenti del pensiero (ebraico e non solo) contemporaneo. In una brillante intervista alla BBC il rav ha infatti spiegato il suo rapporto con la manifestazione e, più in generale, con il mondo del pallone.
“Il calcio è molto più di un semplice gioco. Il calcio, per molti versi, è come la religione. Ha il suo imprescindibile aspetto di ritualità perché – afferma Sacks – essere tifosi significa fondare la nostra identità su un qualcosa più grande di noi. Ma è anche un intenso momento di fede, perché si tratta di sostenere la tua squadra anche quando le convinzioni più profonde che puoi aver maturato sono messe a dura prova dalle circostanze contingenti. E quando arriva il goal della vittoria, finalmente, ci si stringe in un abbraccio collettivo per raggiungere quello stato di trascendenza che un grande filosofo come Hobbes ha definito ‘la gloria improvvisa’. Una terminologia perfetta per spiegare questa sensazione”. “La verità – prosegue il rav – è che sono sempre stato riluttante a parlare di calcio. Per capire le ragioni dobbiamo tornare indietro di 20 anni: George Carey era appena stato nominato arcivescovo di Canterbury e io Gran Rabbino d’Inghilterra, quando è emerso che avevamo una grande passione in comune. Tifavamo entrambi Arsenal. Così un personaggio molto noto ci ha chiesto di salutarci ‘ecumenicamente’ nel suo box allo stadio di Highbury prima di assistere, fianco a fianco, al successivo incontro con il Manchester United. Entrambi abbiamo accettato con entusiasmo. E la grande notte è arrivata”.
“Prima dell’inizio della partita – ricorda il rav – siamo stati accompagnati sul terreno di gioco per presentare un’iniziativa di solidarietà. Lo speaker ha spiegato chi fossimo e un brusio si è diffuso in tutto lo stadio. In qualunque modo la si pensasse dal punto di vista teologico, quella sera l’Arsenal sembrava poter contare su supporter di un certo peso. Non potevamo perdere”. E invece quella sera l’Arsenal avrebbe subito il passivo casalingo più pesante della sua storia. Una batosta clamorosa: 6 a 2 per i Red Devils. Il giorno successivo un tabloid avrebbe condito la cronaca sportiva con questa postilla: “Il fatto che l’arcivescovo di Canterbury e il rabbino capo non riescano insieme a far vincere l’Arsenal, ma che anzi questo sprofondi in modo così evidente sotto i colpi degli avversari, dimostrerebbe la non esistenza di Dio”. Memorabile il commento del rav: “Al contrario, dimostra che Dio esiste. È solo che tifa Manchester”.
Una forte passione per la disciplina, ma allo stesso tempo un’accesa rivalità tra le rispettive squadre del cuore, accomuna rav Sacks e il suo successore rav Ephraim Mirvis. A poche settimane dal suo insediamento, infatti, quest’ultimo ha voluto diffondere attraverso Twitter una foto sul prato del White Hart Lane, il fortino di mille battaglie del Tottenham (tra l’altro, come noto, la squadra più “ebraica” d’Inghilterra). Era la vigilia di uno snodo fondamentale della stagione, proprio contro l’Arsenal, e uno speranzoso Mirvis scriveva: “Good luck to @SpursOfficial in their match”. Morale della favola: Tottenham 0, Arsenal 1. Un fatto che anche la stampa anglosassone, il Guardian in primis, non ha mancato di sottolineare con britannico humour.
Allargando la prospettiva ai mondiali brasiliani, la nazionale inglese ha tra l’altro nuovamente fallito, e in modo piuttosto plateale, l’appuntamento con la coppa più ambita. Sconfitta persino dalla traballante Italia di Prandelli all’esordio e con un ultimo posto nel girone che non ha mancato di suscitare indignazione per il pubblico vilipendio dello Union Jack. A questo punto, commenterebbe forse Sacks, è evidente che le simpatie degli alti quartieri siano rivolte altrove. Per sapere in che direzione basterà attendere il 13 luglio, data della finalissima del Maracanà. “Sai che risate se vincesse l’Argentina di Bergoglio”, è la battuta che circola in questi giorni tra gli ebrei d’Oltremanica.

Adam Smulevich, Pagine Ebraiche luglio 2014