Estremisti
Negli ultimi giorni, innumerevoli media e social network, dimenticando probabilmente la corretta successione degli eventi, hanno rappresentato Israele come un paese preso d’assalto dal più bieco fanatismo nazional-religioso, come se esso fosse la sua unica anima. Come nel resto del mondo, è innegabile che esista un estremismo israeliano di destra, un fenomeno che non deve essere in nessun modo sottovalutato o scagionato. Ma è necessario però, al tempo stesso, evidenziare una netta distinzione tra tendenze estremistiche di alcune frange israeliane e il fanatismo arabo-palestinese. Perché se il primo resta comunque una strenua minoranza all’interno di Israele, dove è denunciato e pubblicamente condannato dalla maggioranza della società israeliana e perseguito penalmente dallo Stato di Israele, il secondo invece non riceve un’esplicita condanna, ed è anzi supportato o giustificato sia dalla maggioranza della società arabo-palestinese, sia nel mondo islamico, così come da una moltitudine di sostenitori della causa palestinese in occidente. Purtroppo non è facile rilevare in questo universo individui o gruppi di qualunque estrazione culturale e sociale, che abbiano pubblicamente biasimato attacchi barbarici e uccisioni come l’assassinio di Eyal, Gilad e Naftali, e le personalità che si potrebbero incontrare, sono isolate e poste sullo sfondo da realtà più radicali e al tempo stesso più emergenti. Come auspica anche il sociologo Bassam Tibi, che più volte ha messo in guardia l’Europa dai pericoli del fondamentalismo islamico, è di primaria importanza che le élites islamiche denuncino e emarginino fermamente le istanze violente e radicali al loro interno, che danneggiano in primis l’immagine del mondo islamico, e questo vale anche per la società palestinese. Un dialogo con l’integralismo è naturalmente impossibile, se un confronto potrà affermarsi, sarà solo possibile con una componente moderata e illuminata che non percepirà più l’ebreo come un nemico da annientare, e Israele come una terra di conquista da liberare definitivamente dall’”oppressore colonialista, ma come un vicino con cui costruire un futuro. Forse così muterebbe, da ambo le parti, la percezione e la diffidenza dell’altro.
Francesco Moises Bassano, studente
(11 luglio 2014)