vita…
La ferita dei nostri tre figli così brutalmente assassinati è aperta e duole. C’è vento di tempesta. Ma noi ebrei celebriamo la vita in ogni istante (LeChaym). L’amore per la vita invita a resistere alla morte, resistere fino all’ultimo, incondizionatamente. Resistere valorizzando la vita di ogni essere umano: non rispondere alla morte con la morte. La vendetta è morte. La vita per noi ebrei è un dovere. Chi salva una vita, salva il mondo intero. Questa vita è il luogo in cui D-o e l’uomo sono associati. Con la morte, l’uomo cede la sua libertà e si realizza esclusivamente la volontà di D-o. Non c’è più spazio per la libertà, per le buone azioni. La vita qui e ora è l’obiettivo della spiritualità ebraica. Ogni momento può portare con sé una realizzazione importante: il Regno dei Cieli qui sulla terra. Il corpo non è una prigione ma un’opportunità. La vita presente è considerata una preparazione, ma nessuno di noi ha sospirato con impazienza desiderando la vita dopo la morte (al contrario di altre religioni a noi contemporanee). Essere vivi significa essere con il popolo ebraico, e dobbiamo resistere all’essere strappati dal nostro popolo, dobbiamo resistere a coloro i quali inneggiano alla morte. Lasciamo ai morti seppellire i loro morti. Questa è la risposta del popolo ebraico: l’inno alla vita, al D-o vivente. Non un Dio dei morti, ma dei vivi. Ma quando, inevitabilmente, il momento di separarsi arriva, si pronuncia una benedizione di fiduciosa accettazione della Giustizia di D-o (Tzidduk HaDin): “Benedetto tu Giudice di Verità. Amen”.
Paolo Sciunnach, insegnante
(14 luglio 2014)