Di fronte ai drammi
Nel giugno di quest’anno il mondo ha conosciuto Vincent Lambert, francese di 39 anni in stato vegetativo dal 2008. La sua storia, simile a quella di Terry Schiavo, ha mobilitato l’opinione pubblica francese e le istituzioni della République: il Consiglio di Stato ha autorizzato la fine dei trattamenti (alimentazione, idratazione), percepiti come “accanimento”, ma la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha sospeso gli effetti di questa sentenza. A rendere diversa e forse più drammatica questa vicenda, la posizione della famiglia dell’uomo, assolutamente contraria all’eutanasia.
Nei giorni scorsi Desmond Tutu, arcivescovo sudafricano e premio Nobel per la Pace, si è detto favorevole all’eutanasia alla luce della sofferenza di Nelson Mandela nei suoi ultimi mesi di vita. La sua dichiarazione, ancor più clamorosa perché rilasciata da un uomo di Chiesa dalla fama gigantesca, ha fatto scalpore nel dibattito aperto in seno al Parlamento inglese, che discute in questi giorni una legge che prevede l’eutanasia dei pazienti con un’aspettativa di vita inferiore a sei mesi.
Una settimana fa Giorgio Napolitano, ricevendo il Comitato nazionale di Bioetica, ha denunciato il silenzio del Parlamento italiano sulla questione del fine vita. Dopo le sguaiate polemiche seguite alle morti di Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro – evidentemente tutte strumentali – l’argomento sembra uscito dai radar, nonostante il quadro politico sembrerebbe essere persino più favorevole.
Si tratta di un tema attualissimo, che riguarda migliaia di famiglie, lasciate sole di fronte a drammi e dilemmi di incredibile intensità. Ed è una sfida che moltissimi medici italiani fronteggiano ogni giorno, senza linee-guida, indirizzi certi e senza un’elaborazione pubblica. Rav Riccardo Di Segni, intervenendo su un caso di cronaca, ha recentemente scritto: “Come si fa a costruire di corsa un nuovo sistema di valori che sia il più possibile condiviso, dovendo decidere in poco tempo ciò che prima veniva stratificato sull’esperienza di millenni? La risposta dei mondi religiosi, come quello ebraico, è di non staccare il legame con il passato ma di trovare il modo di un’evoluzione coerente. Questo dà ad ogni decisione autorevolezza, condivisione, sicurezza e, per chi ci crede, sacralità. E la solidità di una decisione presa con rigore logico e buon senso non va certo imposta alla collettività ma potrà essere un modello nella discussione generale, anche se collegata a fonti di una tradizione specifica, particolare e minoritaria”. Mi sembra un contributo di straordinario interesse, è tempo di farlo pervenire.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi
(15 luglio 2014)