J-CIAK – Gerusalemme, festival sotto attacco
C’è poco da fare. La guerra continua a fare da contrappunto a quest’edizione del Jerusalem Film Festival. Il clima è tesissimo e ogni film sembra un commento, più o meno diretto, al conflitto in corso. Ma il festival, con oltre 200 pellicole in programmazione, va avanti anche se con difficoltà e scossoni organizzativi da brivido.
Il segnale più evidente della situazione drammatica di queste ore è la cancellazione definitiva dell’evento inaugurale del festival, la proiezione di “Dancing Arabs” prevista questa sera. Il film doveva essere presentato una settimana fa all’aperto, nella bellissima Sultan’s Pool sotto le Mura della Città vecchia. Ragioni di sicurezza avevano suggerito di rinviarlo a oggi. Ma poche ore fa l’organizzazione ha annunciato che il programma è cancellato, causa l’escalation in corso.
Finora le sorprese erano state nel complesso contenute. Qualche ospite aveva dato forfait, ad esempio il regista austriaco Ulrich Seidl. Spike Jonze aveva cancellato la masterclass che doveva tenere dopo la proiezione del suo celebre “Essere John Malkovich” (“Sento che per me non è il momento giusto di parlare di film, con tutto quello che sta succedendo. Tornerò e proietterò film e ne parlerò quando sarà un momento migliore. Il mio cuore è con voi e con tutti coloro che proprio ora stanno soffrendo”). Un gruppo di filmakers israeliani – Efrat Corem, Shira Geffen, Ronit Elkabetz, Keren Yedaya, Tali Shlaom Ezer, Nadav Lapid, Shlomi Elkabetz and Bozi Gete – in una conferenza stampa congiunta aveva lanciato un appello per la cessazione immediata delle ostilità.
Ma la cancellazione del film di apertura lascia un po’ di amaro in bocca. “Dancing Arabs” in cui il regista Eran Riklis mixa due romanzi di Sayed Kashua, Arabi danzanti e Due in uno (pubblicati in Italia rispettivamente da Guanda nel 2002 e da Neri Pozza nel 2013) era una delle pellicole più attese, anche per i suoi risvolti di stretta attualità.
Il film racconta la storia di un ragazzo che lascia il villaggio arabo in cui è nato per andare a studiare in una scuola ebraica affrontandone le difficoltà, le speranze e i sogni. Una vicenda che prende spunto dalla biografia dello stesso Kashua, scrittore di successo, giornalista arabo israeliano, titolare di una delle rubriche di punta su Haaretz, autore di una delle serie televisive tra le più amate dal pubblico israeliane “Avoda Aravit – Arab Labor” in onda su Channel 2 e spesso al centro di discussioni e contestazioni.
Sayed Kashua, che scrive in ebraico e ha studiato sociologia e filosofia all’Università ebraica di Gerusalemme, finora incarnava le contraddizioni e le difficoltà della convivenza arabo-israeliana e al tempo stesso lo sforzo di trovare nuove vie. Ma nel clima di tensione montante, la polemica stavolta è andata più in là.
Un paio di settimane fa un sito internet l’ha accusato di aver scherzato sui tre ragazzi israeliani rapiti e uccisi in un discorso all’Università ebraica. Kashua ha negato. Ha cercato di spiegare il senso di una battuta fraintesa, ha smentito che il pubblico si era alzato e uscito e ribadito di desiderare solo chiarezza sul rapimento dei tre giovani. Ma lo scontro si è fatto sempre più violento fino a minacciare i suoi stessi figli. A quel punto lo scrittore ha lasciato Gerusalemme. Non vi farà ritorno, ha scritto, perché “la bugia che ho detto ai miei bambini sul futuro in cui arabi ed ebrei potevano condividere lo stesso paese è finita”.
In questa prospettiva e a conflitto in corso “Dancing Arabs”, che vede comunque al centro un tentativo di convivenza, per quanto travagliato, può sembrare un film fuori tempo. Ma il regista Eran Riklis, già apprezzato per “La sposa siriana” (2004) e “Il giardino di limoni” (2008), narra con humor e ironia la lotta del giovane Eyad per una vita diversa senza risparmiarci qualche affondo spietato.
La mamma di Naomi, la ragazza israeliana di cui Eyad si innamora, ricambiato, soffoca infatti con crudezza ogni speranza fin sul nascere: “Dimmi che sei lesbica – dice alla figlia – dimmi che hai un tumore: ma non sia mai che un giorno vieni a dirmi che hai un ragazzo arabo”. La direttrice del Jerusalem Film Festival Noa Regev aveva detto e ripetuto che la scelta di “Dancing Arabs” non era in alcun modo una provocazione. “E’ un film intelligente e gentile che tocca ciascuno di noi”. Forse in questo momento sarebbe stato davvero troppo.
Daniela Gross
(17 luglio 2014)