voti…
La Parashah tratta a lungo le regole relative ai voti. Senza scendere nella minuziosa casistica della Torà, osserviamo in linea generale che risulta più facile invalidare un voto piuttosto che convalidarlo. Sembrerebbe quasi che la Torah facesse di tutto per opporsi alla pratica dei voti, anche se un versetto del libro di Devarìm (“Ciò che esce dalla tua bocca osservalo e mettilo in pratica, così come hai pronunciato un voto volontario al Signore tuo D.o pronunciandolo con la tua bocca”) evidentissimamente richiama alla serietà ed alla coerenza in questo ambito. Tanto più che un altro versetto, questo nel libro di Qohéleth, dichiara apertamente un’opposizione alla pratica dei voti: “Meglio che tu non faccia voti, piuttosto che farli e non esaudirli”.
S’impone quindi la domanda: qual è il vero atteggiamento dell’ebraismo in materia? Pronunciare voti è una pratica corretta o scorretta? Difatti, se l’ebraismo considera il voto un atto di religiosità auspicabile e positiva, non si capiscono le tante limitazioni ed eccezioni; se invece è una pratica condannabile, non si capisce perché sia tollerata.
L’episodio (riportato nel libro dei Giudici) di Yiftàch e di sua figlia potrebbe fornirci il chiarimento necessario. Nonostante il voto evidentemente sconsiderato, non si mette minimamente in dubbio che esso vada onorato. Pertanto è evidente che il voto è un istituzione valida e riconosciuta. È però uno strumento estremamente delicato, perché spesso viene pronunciato sull’onda emotiva del momento. Chi lo pronuncia sta vivendo in condizioni particolari di stress, di pericolo, di incertezza per l’immediato futuro. In una situazione di questo genere è facile che l’essere umano si rivolga a Ha-Qadòsh Barùkh Hu’ con una richiesta personale e spontanea ed al contempo con una promessa personale e spontanea; togliergli questa possibilità rischierebbe di disabituare l’uomo al contatto diretto con il Signore, l’uomo non si rivolgerebbe più a Lui per esprimere le proprie ansie e per richiedere il Suo aiuto.
D’altro canto, il rischio di un voto sconsiderato è un rischio grave, e l’esempio di Yiftàch ne è la riprova. Di qui la necessità di fornire le più ampie possibilità di vanificarne gli aspetti più rischiosi, e questa è la logica che sottintende alle regole date in questa Parashà.
In definitiva, è certamente meglio non abbondare in voti. Ma al tempo stesso non si deve dimenticare che rivolgersi a Ha-Qadòsh Barùkh Hu’ nei passaggi difficili della vita non significa assumere una posizione rinunciataria, demandando a Lui tutta l’azione: significa assumersi responsabilità davanti a Lui, confidando nell’eternità del rapporto paterno – filiale fra il Signore e le Sue creature, rapporto che è promessa e speranza di sopravvivenza e di superamento delle difficoltà della vita.
Elia Richetti, rabbino
(17 luglio 2014)