Riflessioni su Gaza di una madre israeliana
È mezzanotte e le sirene urlano a tutto volume. I bambini sono a letto da tempo. Ho un minuto per svegliarli e portarli nel rifugio. Chi porto per primo? Mia figlia piccola o la sorella maggiore, la primogenita, che ha sempre difficoltà a svegliarsi, oppure il maschietto di 10 anni? Ce la faccio a portarli tutti nel rifugio e poi di nuovo a letto, dopo la fine dell’allarme.
Mio marito, un riservista in un corpo speciale dell’aeronautica militare, è in pre-allerta. Ciò significa che quando arriva la chiamata ha un’ora per arrivare alla base militare. La casa è diventata una “war room” in miniatura, la sua uniforme è stirata e pronta ad essere indossata e i suoi stivali sono stati lucidati. I bambini sanno per esperienza che quando va in servizio di riserva, potrebbero non vederlo per molto tempo.
Uscire di casa e andare a lavorare ogni giorno non è facile. Siamo in estate e i bambini non hanno scuola. Ogni mattina do le istruzioni, ricordando loro di non tenere la televisione a volume troppo alto, così che possano sentire le sirene e correre al riparo. Per sicurezza, oltre alle applicazioni di video-game, i miei figli scaricano la app “Code Red”, che emette un segnale acustico quando partono le sirene.
Un pomeriggio, al mio ritorno dall’ufficio, la più piccola mi ha chiesto se poteva andare a casa di un’amica. Questa richiesta mi ha creato un dilemma. Di questi tempi preferirei avere i miei figli vicino, d’altra parte è una bambina normale e ha diritto di vivere come tale. Le ho dato il permesso di andare. Lei e la sua amica hanno giocato in una piscina di plastica con 40 centimetri di acqua. Improvvisamente ha iniziato a suonare la sirena dell’allarme aereo e le bambine hanno dovuto cercare un rifugio. Penso comunque di aver fatto la scelta giusta a lasciarla andare.
Prima di accettare l’incarico di direttore dell’ufficio AJC a Gerusalemme lo scorso aprile, sono stata per 22 anni nelle Forze di Difesa Israeliane (IDF), dove ero portavoce capo per i media internazionali. È da questo punto di vista che posso dire che, senza dubbio, l’eroe dell’attuale conflitto fra Israele e Hamas a Gaza è l’Iron Dome (cupola di ferro, n.d.t.), o meglio l’eroina, dato che il termine ebraico per questo sistema di difesa missilistica, Kippat Barzel, è un sostantivo femminile. Si stima che l’Iron Dome, posizionato in punti strategici all’interno o in prossimità di aree abitate, abbia intercettato e reso inoffensivo il 90% dei missili in arrivo. Altri proiettili da Gaza sono caduti in aree disabitate. Ci sono stati danni materiali e alcuni feriti ma, nel momento in cui scrivo, nessuno in Israele è stato ucciso. Stiamo con il fiato sospeso!
Questa crisi, come altre che l’hanno preceduta, ha unito il popolo israeliano. In tempi normali, abbiamo la tendenza ad essere molto polemici, con i vicini di casa che bisticciano fra loro, i partiti politici che litigano furiosamente nella Knesset e nei media. Ma tutto ciò è scomparso e si sorvola sulle differenze ideologiche e personali o le si mettono da parte. Gli israeliani sanno che sono tutti sulla stessa barca.
È proprio come madre che il mio cuore si rivolge ai palestinesi innocenti a Gaza. Il regime crudele e disumano di Hamas li ha privati della libertà e della dignità e mette in pericolo la loro vita in nome della jihad radicale. Requisisce le loro case per farne postazioni militari, per accumularvi e sparare razzi, usando loro e i loro figli come scudi umani, mandandoli a morire per fini propagandistici.
Sono fiera di vivere in un paese che telefona a quelli che abitano negli edifici che sono stati presi di mira (per essere bombardati, n.d.t.), avvertendo i civili in modo che possano uscire in tempo; un paese che ancora oggi, nel bel mezzo della battaglia, continua come sempre a fornire cure mediche agli abitanti di Gaza malati e feriti, così come avviene per i siriani in fuga dalla sanguinosa guerra civile.
L’israeliano medio non vuole altro che pace e tranquillità. Ma per la pace di dovrà attendere. Ho appena saputo che un’altra raffica di razzi è stato sparata poco fa verso Beersheva.
Avital Leibovich (The Wall Street Journal)
Avital Leibovich è direttrice dell’ufficio di Gerusalemme della American Jewish Committee (AJC).
(Traduzione in italiano di A. Bedarida)