…vita
Torniamo con la memoria a sole due settimane fa. Rachel Fraenkel – la madre di Naftali, uno dei tre ragazzi rapiti e uccisi – ci insegnava coraggiosamente a mettere al centro due grandi, imprescindibili valori su cui costruire il futuro: la vita umana e il Diritto. In una bella intervista a un settimanale italiano http://www.famigliacristiana.it/articolo/sono-una-madre-dico-no-allodio.aspx le sue parole suonano inequivocabili: «Chiamare la famiglia di Muhammad è stata la cosa più naturale. Sono rimasta sconvolta da questo assassinio e ho sentito con tutta me stessa la sofferenza dei genitori. Sono orgogliosa della magistratura israeliana che si è affrettata a indagare e catturare i colpevoli. Era molto importante per noi trasmettere il messaggio che nessun innocente deve essere colpito e solo la legge ha il mandato per occuparsi di questi casi. Sono sicura che la famiglia di Muhammad sta soffrendo terribilmente ed è sotto la pressione della sua comunità». In questa prospettiva la morte di centinaia di civili (e fra questi decine di bambini) a Gaza, e la vita scandita da sirene, rifugi e paura nelle strade di Israele appaiono inaccettabili e insopportabili. Non lo può sopportare la società israeliana, né lo può fare la complessa società palestinese. Esistono fondate ragioni per dire che la responsabilità principale di quel che sta accadendo non risiede nei contendenti: Israele e Hamas (ora, ma prima era l’OLP, o Hezbollah) si muovono nell’ottica militare autistica della ritorsione, una prospettiva che per decenni non ha condotto se non a periodi di calma relativa e instabile. Le leadership politiche non riescono a immaginare prospettive di lungo periodo e sono costantemente impegnate a risolvere alla meglio l’emergenza quotidiana. Personalmente non posso accettare la prospettiva ipocrita dell’ «equivicinanza» e considero il regime di Hamas inaccettabile e crudele, oltre che pericoloso e distruttivo per la società palestinese, ma non è questo il punto. La mia idea è che l’attuale tragedia sia l’ultimo frutto avvelenato della colpevole non volontà (non incapacità, manca proprio la volontà) dei principali attori internazionali che hanno variegati interessi a mantenere l’area mediorientale in costante tensione. Facciamo solo un esempio recente per chiarire di cosa parlo: il ministro degli esteri Mogherini, in predicato di diventare Alto Commissario agli esteri dell’UE, visita Israele e ANP auspicando a più riprese la fine degli scontri e l’avvio di negoziati. Un rituale diplomatico doveroso ma scontato, che si rivela del tutto vuoto se solo si considera che l’Italia con la sua Alenia Aermacchi ha appena consegnato a Israele (in piena guerra) i primi 5 caccia M-346 http://www.formiche.net/2014/07/10/pronti-israele-i-primi-due-m-346-alenia-aermacchi/ di una commessa complessiva di 30. Quale potere di mediazione potrà mai avere un ministro degli esteri che si presenta con questa “dote”? Si dirà: vero, ma l’Italia finanzia con svariati milioni di euro l’anno le attività umanitarie nei territori e a Gaza. Non ci piove, ma siamo sempre nella prospettiva (che chiamerei neocoloniale) dello status quo. Nessuno si sta muovendo per disegnare una prospettiva di pace duratura. Sia chiaro: i progetti di sviluppo non mancano, sia da parte israeliana sia da parte palestinese. La costa che va da Gaza a Haifa è una delle aree più popolate del globo ma è anche uno dei luoghi più suggestivi e carichi di promesse imprenditoriali. Sono enormi le potenzialità turistiche; sono fortemente sviluppate le attività industriali; vi è una prospettiva ormai ben avviata per un remunerativo sfruttamento dei giacimenti di gas naturale che sono stati scoperti a qualche decina di miglia dalle coste; è da decenni avviata una produzione agricola intensiva fra le più apprezzate dai mercati internazionali. In sostanza, esiste una base su cui costruire un futuro prossimo di convivenza che promette di trasformare l’intera area in una straordinaria esperienza di sviluppo. Ma qualcuno non vuole tutto questo. Non lo vuole il mondo arabo (in primis gli Emirati) che ha tutto l’interesse a mantenere la società palestinese marginalizzata e sottomessa. Non lo vuole l’Europa, che vive ancora la politica estera in una prospettiva coloniale. Lo teme la Turchia, che si sente minacciata nella sua leadership economica e nel suo ruolo di tramite fra oriente e occidente. Non lo vuole la Russia, che ragiona ancora nei vecchi termini di sfere d’influenza ereditati dall’impero sovietico. E non lo vogliono neppure gli Stati Uniti, che non hanno interesse ad incoraggiare lo sviluppo di un nuovo potenziale competitor economico. Sono queste – temo – le ragioni per cui oggi si riaffacciano in medioriente personaggi poco credibili come Tony Blair (il rappresentante del Quartetto, espressione plastica della non volontà di arrivare a una fine del conflitto e di costruire una prospettiva di pace), o privi di un mandato condiviso come la Mogherini. E così in primo piano rimane la vetrina della guerra: missili che partono da Gaza, missili che piovono su Gaza, bambini che muoiono (!). Credo proprio sia necessario ripartire dalle parole di Rachel Fraenkel, e dare loro il giusto valore anche a livello politico.
Gadi Luzzatto Voghera, storico
(18 luglio 2014)