Ticketless – Bainsizza
Il concerto diretto da Muti davanti al sacrario di Redipuglia, presente Napolitano, trasmesso in diretta dalla Rai nei giorni scorsi, immagino sia stato una sorpresa per molti giovani spettatori. Ci si lamenta, giustamente, dei silenzi su antifascismo e Resistenza; si protesta, ogni 27 gennaio, altrettanto giustamente, contro le retoriche della Memoria. Protesto anch’io, ma contro il silenzio sulla Grande Guerra. Non mi risultano in corso d’opera iniziative degne di rilievo nemmeno dentro il mondo ebraico italiano. Eppure non vi è famiglia che tra il 1915 e il 1918 non abbia dovuto piangere un caduto. Il mio nonno materno era sull’Isonzo quando un telegramma lo invitò a rientrare a Casale Monferrato per recare conforto ai genitori. Il suo fratello più giovane era caduto in una trincea situata a pochi metri di distanza dalla sua. Dalla guerra mio nonno ammalato di cuore. Morirà l’anno dopo che sono nato io: se la cosa non apparisse a qualcuno scandalosa oserei dire che i postumi di quel tremendo conflitto agirono sulla sua salute più della paura generata dal 1938.
Disponiamo di svariati libri su professori universitari cacciati dalle leggi razziali, però abbiamo dimenticato ciò che disse in Senato Francesco Ruffini: soltanto tre sono i professori italiani caduti in trincea. Tutti e tre erano ebrei. Nessun dato più di questo misura il grado di integrazione raggiunto nell’Italia liberale. Il fascismo ha purtroppo macchiato quelle memorie (si pensi all’uso strumentale che si fece di Roberto Sarfatti o del babbo di Furio Jesi). Settant’anni dopo la caduta di Mussolini siamo ancora del tutto prigionieri del distorto uso pubblico della storia che fece il regime. Un assordante silenzio avvolge chi s’oppose alla carneficina. La recente storiografia non è stata tenera nemmeno con l’interventismo democratico e mazziniano, alla Salvemini, quasi che fosse fatale diventare fascisti dopo essere stati volontari al fronte. Avanzerei una doppia, modesta proposta. Primo. Ristampare le lettere dal fronte raccolte da Adolfo Omodeo per farle leggere a scuola accanto alle ultime lettere dei condannati a morte della Resistenza. Seconda cosa. Organizzare un viaggio della memoria sull’altipiano della Bainsizza, dove nel 1917 cadde Eugenio Elia Levi, dal 1909 al 1916 professore di matematica all’Università di Genova. Chi si ricorda ancora di lui?
Alberto Cavaglion
(23 luglio 2014)