Tea for two – Vita da stagista
Nove mesi passano in un batter d’occhio. La mia vita da stagista è stata un profluvio di emozioni contrastanti. Uno scricciolo dentro una grande azienda, dentro un enorme macchinario che si muove instancabile. Ricordo ancora quando un anno fa mi presentai al colloquio con una pila di articoli scritti per Pagine Ebraiche stipati in una cartelletta fucsia. “Ma se vuoi essere una giornalista perché ti sei presentata?” Boh. Eppure, in aeroporto, di ritorno da Tel Aviv, la telefonata: sei stata selezionata. Paura e delirio. Io? Ma non ho mai vinto niente, ma non ho mai lavorato, ma voglio la mamma, ma non sono capace. Poi la voglia di lasciare la mia amata Roma, i miei amati, per un periodo di prova, ha la meglio. Sono stati nove mesi intensi; un vero e proprio parto: distacchi, litigi, Excel, sfide, gente antipatica, amori amari, aperitivi, passeggiate solitarie per il centro, tanta nostalgia, tanto shopping riparatore. E poi i venerdì autunnali nei quali scappavo dall’ufficio per rincorrere Shabbath, “Felice giorno dell’immobilismo” diceva Niccolò. I pasti in pausa pranzo con le scommesse dei colleghi: “Cosa prenderà oggi Rachel? Tiriamo ad indovinare? Insalata!”. Ora che è tempo di liberare la scrivania, che è necessario togliere di mezzo gli articoli del New York Times su Gaza, la copia del giornale comprata dopo la morte dei tre ragazzi e rimasta lì come memento, gli snack nascosti sotto il guazzabuglio di fogli, una lacrima mi scende. I miei colleghi mi hanno accolta con la testa e con la pancia, ogni tanto mi hanno accompagnata a mangiare kasher, alle volte hanno fatto Shabbath con me. Mi lasciano una marea di regali color menta e la consapevolezza, nonostante tutto, di aver avuto per qualche mese un posto nel mondo.
Rachel Silvera, studentessa
(28 luglio 2014)